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310 | parte quarta — cap. i |
Con questo non vogliamo dire che anche presso di noi le sillabe non differiscano tra loro per maggiore o minore intensità; poichè è certo che vi sono delle sillabe più pese e delle sillabe più leggere: p. es. nella parola strumento la prima sillaba è più forte della seconda, e la seconda della terza. Ma ciò costituisce la densità delle sillabe, non il tempo della pronuncia, il quale dipende solo dall’accento tonico.
§ 3. Noi stabiliamo che nella nostra lingua sona lunghe le sillabe su cui posa l’accento e brevi quelle dove non posa. Se consideriamo p. es. le parole andáre, córrere, virtù, possiamo dire che la prima consiste di una lunga in mezzo a due brevi, la seconda di una lunga seguita da due brevi, la terza di una breve cui segue una lunga. Adottando i segni stessi che in altro senso adopravano i Latini ed i Greci (˘ per la breve, ¯ per la lunga) potremo indicare tali parole cosi: ˘¯˘ ¯˘˘ ˘¯. La differenza di tempo fra le vocali accentate e quelle non accentate è confermata dal fatto che, mentre le prime si conservano costantemente, e per lo più rimangono immutate, le seconde non solamente mutano suono, ma spesso anche si perdono mediante l’aferesi, la sincope e l’apocope (vedi Parte I, cap. iii, e cap. viii, § 17 e segg.).
§ 4. Il tempo considerato in più sillabe consecutive si misura col ritmo, che consta di una battuta e di un intervallo, e corrisponde al battere e risollevare del piede, onde piglia anche il nome di piede. La battuta cade sempre, com’è naturale, sulla sillaba accentata, e l’intervallo sopra una o due sillabe non accentate: diciamo una due, perchè se fossero tre o più, non vi sarebbe simmetria fra la battuta e l’intervallo, il quale richiederebbe un tempo troppo più lungo di quella. Nel parlare ordinario (prosa) il ritmo ha poca parte, per-