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54 parte prima — cap. viii

come-cché, sopra-ttútto. Lo stesso avviene della preposizione cóntra (che separata non si usa altro che in verso): contra-ppórre, contra-ddíre.


§ 15. Le parole Dío, Dèi, Dèa, Dèe, precedute da qualunque altra parola finita in vocale, senza alcuna interruzione di senso, vengono pronunziate con un’appoggiatura gagliarda, come se la consonante si raddoppiasse. P. es. il buòno Dío, fórse Dío, úna Dèa si pronunziano come se fossero scritte il buonoddío, forseddío, unaddèa. Così pure la parola sánto, ma nel solo caso che sussegua alla voce spírito usata a significare la terza delle Divine Persone: Spírito Sánto si pronunzia Spiritossánto.


§ 16. Nella flessione di alcuni verbi l’accento traslocandosi dalla penultima sillaba dell’infinito ad un’o od un’e precedenti, le amplia nei dittonghi uo ed ie, purchè esse siano seguite da consonante semplice. Esempi: sonáre, suòno, i, a, ecc.; sedére, sièdo, i, e, ecc.; moríre, muòjo, muòri, muòre, muòjono. Siccome questo dittongo in tali verbi si perde col traslocarsi dell’accento (p.es. suòno, sonáte; sièdo, sediámo), vien detto comunemente dittongo mobile.

In verso la dittongazione dell’o e dell’e non è d’obbligo, potendosi dire: io sòno, tu mòri, ecc.

Cfr. quello che fu detto nel cap. iii, § 9.


§ 17. Spesso la forza dell’accento in una parola, tendendo a mettere in rilievo la sillaba dove esso posa, a scapito delle altre, fece cadere qualche sillaba, o in principio, o dentro la parola stessa od in fine.

La caduta d’una sillaba in principio si chiama aferesi; quella nel mezzo sincope; quella in fine apocope.