Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
prefazione | xv |
principalmente sull’esempio del latino, si arricchì e si regolò, coll’opera e coll’autorità degli scrittori, e sopra tutto con quella di Dante Alighieri, che nel libro della Volgare Eloquenza già distingueva l’uso corretto dall’uso plebeo della lingua nascente. Sopra le norme più costantemente seguíte da lui nelle immortali sue opere, e da’ suoi illustri seguaci Petrarca e Boccaccio, si stabilirono i fondamenti della grammatica italiana.
Crebbe dunque la nostra lingua da due fonti principali: l’uso toscano che per la sua stessa vitalità, per l’eccellenza de’ primi scrittori, per la reputazione di Firenze, traeva a seguirlo coloro che non credeano potersi risuscitare l’idioma del Lazio; e d’altro canto il latino, a cui si pose studio sempre maggiore, e che divenne meta e modello degli scrittori a mano a mano che i classici antichi tornavano in onore. Così la lingua italiana ripudiò di quelle flessioni che non si confacevano colla grammatica latina e raddrizzò, fin dove poteva, le declinazioni e le conjugazioni sull’esempio di quell’idioma:3 da esso prese gran numero di voci dotte, di termini astratti, conservandone la forma loro naturale, perchè sottratti al capriccio e all’ignoranza del volgo, a cui soggiacquero le voci primitive già canonizzate dall’uso; e così si emendò e si arricchì.4 Nè però sbandì del tutto le varietà del parlare, o cessò di trarre da esso nuove maniere, costrutti biz-