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tipi profondamente studiati qui non ci hanno che vedere. Di caratteri emerge uno solo, simpatico sempre, più vivo che mai - Pantalone, - tanto vero e tanto ingenuo nell’innata bontà sua, che Jacopo Corsini, il comico-poeta (vedi Nota al Serv. di due padroni) aveva ragione di mettergli in bocca versi come questi: «.. se padre talor costui [Lelio] mi chiama, / Sul dubbio che ancor qui mentire ei puole / Rinunzio un tal diritto a chi lo vuole», e un’altra volta, variando lo stesso pensiero: «O la nutrice baratollo in fasce / O mia moglie mi fè qualche scherzetto».
Alla fortuna del Bugiardo è testimonianza, più eloquente ancora della ricca messe di studi fioritavi intorno (vedi anche A. Momigliano, Lo stile e l’umorismo nel «Bugiardo». Asti, 1904), la vitalità costante e oggi ancora fresca sulla scena. Ricordiamo a questo luogo l’interpretazione finissima che Ferruccio Benini ed Emilio Zago danno alle parti di Lelio e di Pantalone. Oltre alle numerose riduzioni della commedia a scopo educativo (Salvioli, Bibl. univ. del tea. dramm. it. Venezia, 18%, I, col. 568; ancora: Il bug. comm. di C. G. ridotta p. ist. maschili. Torino, 1895). Ne esistono versioni in lingua italiana (Il bug. ecc. Sec. ediz. Monaco, 1858) e - ahi - senza maschere (Salvioli, ibidem, e Il bug. comm. in 3.a rid. per la sce. mod. senza masch. e dal dial. venez. Roma 1876). «Rifatto sul gusto delle nostre scene, sull’originale dell’inimitabile Goldoni» fu il Bug. anche da G. B. Lorenzi (Croce, I teatri di Napoli ecc. Napoli, 1891, p. 541; Di Giacomo, Cronaca del teatro S. Carlino. Trani, 1885, p. 89). Un adattamento siciliano lo dobbiamo a Giuseppe Colombo (Russo-Aiello, Tragedia e scena dialettale, Torino-Genova, [1908], p. 216). In dialetto milanese recitava la parte di Pantalone il Moncalvo (I teatri, 1828, vol. 2°/2, p. 694).
Il Bugiardo nel 1840 venne trasformato pure in «produzione melo-comica» su parole di Scotti e musica di M. Sciorati (A. Neri in Giorn. stor. e lett. d. Liguria, 1900, p. 467). Ma chi dettò e dove sono le note di quella serenata che con mirabile mossa tutto veneziana apre la commedia? Era forse ancora la stessa canzonetta che con musica di Francesco Brusa il Goldoni fece eseguire a Venezia nel 1732 (1733?) sotto le finestre di due donne da lui vagheggiate, interprete Agnese Àmurat «la cantatrice di moda per le serenate» (Mem. I, c. 25 e sull’Agnese Rasi, I comici ecc. 1, p. 38)? Il gustoso episodio, di sapore casanoviano, ma senza ingiuria al buon costume, fu drammatizzato di recente da Nino Berrini nel suo Avvocatino Goldoni (rec. la prima volta al Valle di Roma il 20 nov. del 1907 da Dora Baldanello), dove, con buon accorgimento, è riprodotta tale e quale la canzonetta del Bugiardo, musicata dal m.o Soffredini (vedi D. Oliva, L’avv. G. di N. B. Giorn. d’Italia, 22 nov. 1907). La canzonetta del Brusa aveva avuto fortuna a Venezia e si cantava dappertutto (Mem. ibid.). Il compositore, nel ’26 organista a S. Marco, era già noto per opere in musica e altro compose poi anche su libretti dello Zeno e del Metastasio. Il Goldoni lo dice poco fortunato (Ed. Pasquali, v. X, p. 15; Wiel, I teatri musicali di Venezia, Ven. 1897, Indice). Anche se nel Bugiardo non si ripetono musica e parole, si può ammettere forse, per la identità dell’episodio (una serenata per due donne senza che apparisca a quale vada l’omaggio), che il poeta nello stendere la commedia si giovò del ricordo. Così anche una volta un episodio vissuto avrebbe animato