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libro secondo - capitolo decimo 207


virile; onde i suoi figliuoli, come dice Alfonso Lamartine, «hanno tuttora impressa sul volto la maestá severa e. il carattere dei primonati»1. E però Dante scriveva che «piú dolce natura signoreggiando e piú forte in sostenendo e piú sottile in acquistando, né fu né fia che la latina»2. Isocrate ateniese, discorrendo de’ suoi cittadini, diceva che «a noi si conviene essere i primi in eccellenza fra tutti gli uomini. Io non dico ora questa cosa per la prima volta, ma io l’ho detta giá in molte occasioni ed a molti: che al modo che noi veggiamo negli altri luoghi generarsi dove una dove altra qualitá di frutti, di arbori e di animali, propria di quella cotal terra e molto eccellente fra quelle che nascono nelle altre parti; cosi medesimamente il nostro terreno ha virtú di produrre e nutrire uomini non solo di natura attissimi alle arti e opere della vita, ma di singolare disposizione eziandio per rispetto alla virilitá dell’animo e alla virtú»3. Le quali parole non fuor di proposito si possono adattare all’altro ramo dello stesso ceppo; tanto piú che gli attici, come ioni o iavaniti di origine, si attenevano ancor piú dirittamente degli altri greci al sangue pelasgico. E se a taluno paresse che il vanto ci si disdica, la giustificazione ci è porta dallo stesso scrittore: che «niuno si pensi che pervenga da ciò alcuna eziandio menoma lode a noi cittadini di oggidí; anzi per lo contrario. Perocché queste simili sono lodi verso chi si dimostra degno della virtú degli antecessori; ma verso quelli che colla loro ignavia e cattivitá svergognano l’eccellenza della loro stirpe, elle sono riprensioni e biasimi. Siccome (vaglia il vero) facciamo noi, che, si fatta natura avendo, non l’abbiamo saputa serbare, ma siamo caduti in grande ignoranza e confusione e in molte cattive cupiditá»4. Ché se all’Italia può dirsi essere incontrata, e non in mostra ma in veritá, la metamorfosi di Ricciardetto5, non è però che ella non serbi la virtú antica



  1. Ho riferito tutto il passo nell’Apologia, pp. 183, 184, nota.
  2. Conv., iv, 4.
  3. Orat. areop. (traduzione del Leopardi).
  4. Ibid.
  5. Ariosto, Fur., xxv, 64.