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180 | del rinnovamento civile d’italia |
è l’effetto dell’arte; e perciò si dá un’arte o civiltá falsa, che si dilunga dalla natura e in vece di svolgere le virtualitá native mira a distruggerle1. Quest’arte o civiltá contrannaturale è madre della falsa politica, sia di quella che va dietro a utopie impossibili o s’ingegna di preoccupare con progresso precipitoso le condizioni di un remoto avvenire, sia di quella che rinverte al passato e spegne i ragionevoli acquisti. Gli ordini di Vienna appartengono a questa seconda specie e, violando la natura non meno che la ragione, tanto fu lungi che riuscissero a quietare l’Europa, che anzi porsero esca e incentivo a nuovi e continui disordini. Il Rinnovamento sará all’incontro una riformazione del mondo civile a norma delle leggi naturali, e avrá per regola l’adagio morale del Portico, confermato dal cristianesimo2 che «si dee vivere secondo natura»3. Chi si conforma a natura è felice, chi le ripugna è misero; il che si verifica nei popoli e negli Stati non meno che nei particolari uomini e nelle famiglie. Le cose umane non sono stabili se non in quanto ritraggono della suprema stabilitá creata, cioè della natura; la quale, dice un nostro scrittore, «certa consiste, ferma e costante in ogni suo ordine e progresso; nulla suol variare, nulla uscire da sua imposta e ascritta legge»4. E la natura è stabile, perché rende finita immagine dell’ infinito artefice; il quale, se è primo motore in quanto dá l’essere e il moto alle cose, era chiamato «statore» dagli antichi romani, come nota Seneca5, perché
- ↑ La vera civiltá è pertanto il ritorno alla natura, non grezza ma svolta e raffinata dall’arte. Giacomo Leopardi, antimettendo lo stato selvaggio al civile, non discorre della civiltá vera ma della falsa, che chiama «corruzione» (Opere, t. i, p. 35; t. ii, pp. 73, 74, 75); onde la sua sentenza si distingue sostanzialmente da quella che Giangiacomo Rousseau mise in voga all’etá passata. Tal è almeno l’interpretazione che mi par risultare dal riscontro di vari luoghi, imperocché se il recanatese non avesse sentito altramente dal ginevrino, come avrebbe potuto scrivere la «civiltá» esser necessaria a «dirozzare e rammorbidire gli animi» per distoglierli dalle male opere (ibid., t. ii, p. 67), «e sola guidare in meglio i pubblici fati» (ibid., t. i, p. i2i).
- ↑ «Magistra natura, anima discipula» Tertull., De test, an., 5).
- ↑ Cic., De fin., Tusc., passim.
- ↑ Alberti, Opere volgari, Firenze, i845, t. iii, p. i69.
- ↑ De benef., iv, 7.