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268 vi - commento alla «chioma di berenice»


sono piú colpa dello stato di Roma che di que’ poeti, a’ quali vennero le lettere con le scienze, con la mollezza del vivere civile e con le discipline retoriche; e il loro ingegno fu da prima atterrito dalla tirannide, indi innaffiato dannosamente da’ benefici. E ben Virgilio, Pollione e gli altri grandi furono, se non propugnatori della patria, certamente ammansatori di quell’imperadore, non, come altri si crede, con la dolcezza delle sacre muse, ma perché, non avendo i delitti liberato dalla coscienza dell’infamia, comperava le lettere, quasi testimoni al tribunale de’ posteri; e quest’ambizione lo distraeva in appresso dalle pedate di Silla, ch’ei cominciò a calcare dopo la vittoria, sino a patteggiare la morte di Cicerone1, ad insultare al capo mozzato di Bruto2 ed a meritarsi sul tribunale il nome di carnefice. Ma i poeti primitivi, teologi e storici delle loro nazioni, vissero, siccome Omero e i profeti d’Israele, in etá ferocemente magnanime; e Shakespeare, che insegna anche oggi al volgo inglese gli annali patri, viveva fra le discordie civili, indotto d’ogni scienza; e l’Alighieri cantò i tumulti d’Italia sul tramontare della barbarie, valoroso guerriero, devoto cittadino ed esule venerando. Argomento della originalitá delle loro nazioni, dalla quale erano educati quegl’ingegni supremi, si è che, essendo tutti eguali nelle forze e nella tempra, sono però cosí diversi ed incomparabili, che non si può trovare orma di somiglianza fra di loro, né d’imitazione dagli altri. Onde tanto questa originalitá prevalse in Dante, che, intendendo egli di togliersi per esemplare l’Eneide, appena si trova ombra della scuola virgiliana nella maniera di vestire i concetti. Per questi esami confermasi la sentenza, che i poeti traggono qualitá da’ tempi; e viene quindi abrogato il loro esilio decretato da Platone. Perocché, se erano corruttori i poeti, doveano essere prima corruttori i governi; o il governo platonico era, per istituzioni e per natura degli uomini, meno imperfetto, ed i poeti avrebbero preso qualitá dalla generositá e dalla giustizia e dall’idee tutte di quella repubblica.

  1. Plutarco, in Cicer.; Idem, in Anton.
  2. Svetonio, lib. ii, cap. 13.