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pensiero, ma era un istinto che si inchinava sempre dinnanzi alla necessità di chiarezza, cioè all’esatta espressione.

La regola musicale che Dante tiene di conto è quella che gli viene dalla lingua. Ogni lingua ha delle esigenze e delle preferenze; ogni lingua, si potrebbe dire, è come uno strumento musicale, e come certi pezzi di violino non s’adattano al piano, così certi sentimenti che si possono esprimere in una lingua, in un’altra sono spaesati, o addirittura muoiono. Provate a tradurre le Georgiche in francese, o Verlaine in italiano.

La poesia italiana non ammette nè la mediocrità nè la debolezza. Non si adorna, come la poesia di D’Annunzio, di magnificenze verbali, di cui non è difficile trovare esempi in altre lingue; il dizionario non è per lei sorgente di eccitamenti lirici. Essa ignora il caso, sdegna la sonorità, si studia non di costruire complicati edifici verbali, quali la poesia parrebbe permettere, ma di semplificarli: è una poesia magra. Si sbaglia chi crede che la poesia italiana ami l’enfasi e la sovrabbondanza: i nostri veri poeti, Dante e Leopardi, sono duri e magri. La poesia italiana sfrutta le risorse della lingua italiana, non delle altre lingue. Non si potrebbe in francese arrivare con gli stessi mezzi agli stessi ef-

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