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scarsi frutti, e in forma psicologica, divertente, acuta risponde descrivendo il pubblico, gli scrittori, i critici. Manca in Italia il pubblico che sappia ammirare, i critici che dirigano, e manca sopratutto agli scrittori la libertà di criticare i loro tempi. La letteratura e l’arte sono soffocate come la politica dalla scarsa libertà e dalla scarsa probità dell’ambiente e dei critici. Esamina a questo proposito LE VITE di Giorgio Vasari e prova come la grandezza della pittura del suo tempo a lui si debba che seppe eccitare e dirigere i pittori e rendere il pubblico ammirativo.

Nella terza parte del volume: DIALOGHI SATIRICI SULLA NOSTRA CIVILTA’ LETTERARIA lo stesso problema è strattato in forma artistica. In uno, due scrittori del primo ottocento concludono — dopo aver discusso di Manzoni, Leopardi, Foscolo, che non c’è ai loro tempi scrittore degno di restare. In un secondo Macchiavelli si lagna con Giusto Lipsio (che lo invidia) di esser ricordato e lodato per quel che non disse, mentre il suo vero pensiero è obliato. In un terzo, due amici discutono sulla parte che la stupidità ha nel progresso e regresso del mondo.

Carlo Sforza nella sua magnifica prefazione analizza acuta mente il valore etico del volume e conclude: «Vorrei che questo libro, in cui Leo Ferrero, nella sua passione ardente per un’Italia alta e pura, nota i mali che più sembravano tormentare la nostra patria, fosse meditato da molti giovani i quali, capiranno che certe amare osservazioni di Leo gli e fan dettate precisamente dall’intensità, del suo amore pel popolo italiano, dal suo terrore che esso non riesca a liberarsi dalla tirannia dei gaglioffi della retorica, dal suo desiderio di servirlo nei giorni oscuri...».