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372 storia della letteratura italiana


in ogni genere di scrivere, ma le mancava la tragedia. Quest’era l’idea fissa di Gravina e l’ambizione di Metastasio; a questo lavorarono il Trissino, il Tasso, il Maffei. Ma la tragedia non c’era ancora, per sentenza di tutti. E dare all’ Italia la tragedia gli pareva il piú alto scopo a cui un italiano potesse tendere. Da’ suoi viaggi avea portata ingrandita l’immagine dell’Italia, non trovato nulla comparabile a Roma, a Firenze, a Venezia, a Genova. Aggiungi la maestá dell’antica Roma, le memorie di una grandezza non superata mai. E, quantunque l’Italia a quei di fosse tanto degenere, avea fermissima fede in una Italia futura, che vagheggiava nel pensiero simile all’antica. Di questa nuova Italia fondamento era il rifarvi la pianta «uomo»; e gli parea che la tragedia, rappresentazione dell’eroico, fosse acconcia a ritrarvi questo nuovo uomo, che gli fervea nella mente, ed era lui stesso. Questi concetti erano del secolo, penetrati qua e lá nelle menti e da lui bevuti insieme con gli altri. Ma divennero in lui passione, scopo unico e ultimo della vita, e vi pose tutte le sue forze. Volle essere redentore d’Italia, il grande precursore di una nuova èra, e, non potendo con l’opera, co’ versi. Cosi trovò alla vita un degno scopo, che gli prometteva gloria, lo ingrandiva nella stima degli uomini e di se stesso. Lo scopo era difficilissimo, perché tutto gli mancava ad ottenerlo. E la difficoltá gli fu sprone e glielo rese piú caro. Vi spiegò quella sua energia indomabile, esercitata fino allora ne’ cavalli e ne’ viaggi. Per «disfrancesizzarsi» e «intoscanirsi» visse il piú in Toscana, ristudiò il latino, si pose in capo i trecentisti, contento di «spensare per pensare», fece suoi compagni indivisibili Dante, Petrarca, Ariosto e Tasso. Copiò, postillò, tradusse, «s’inabissò nel vortice grammaticale», e, non guasto dalla scuola e tutto lui, si fece uno stile suo. Scrisse come viaggiava, correndo e in linea retta : stava al principio, e l’animo era giá alla fine, divorando tutto lo spazio di mezzo. La parola gli sembra non via, ma impedimento alla corsa; e sopprime, scorcia, traspone, abbrevia : una parola di piú gli è una scottatura. Fugge le frasi, le circonlocuzioni, le descrizioni, gli ornamenti, i trilli e le cantilene: fa antitesi a Metastasio.