Pagina:De Sanctis, Francesco – Storia della letteratura italiana, Vol. II, 1912 – BEIC 1807957.djvu/330

324 storia della letteratura italiana


alle fonti romane, illustrandole e tentando una prima filosofia del dritto, voleva ritirare l’arte alla greca semplicitá, purgandola della corruzione seicentistica, e scrisse tragedie a modo di Sofocle, e tentò una teoria dell’arte che chiamò Ragion poetica. Il buon uomo vedea il male, ma non le sue cause e non i suoi rimedi. La semplicitá è la forma della vera grandezza, di una grandezza inconscia e divenuta natura. Niente era piú contrario al secolo, manierato e pretensioso al di fuori, vacuo al di dentro. Per combattere il manierismo, Gravina soppresse il colorito e vi supplí con la copia delle sentenze morali e filosofiche. L’intenzione era buona; parea volesse dire: — Cose e non parole. — Né altra è la tendenza della sua Ragion poetica, dove il vero è rappresentato come sostanza dell’arte, e il vero ignudo, non «condito in molli versi». Cosi, volendo esser semplice, riuscí arido. La teoria non era nuova, anzi era la vecchia teoria di Dante, ringiovanita dal Tasso; ma parve nuova in un tempo che lo sforzo dell’ingegno era tutto intorno alla frase. Metastasio fu educato secondo queste idee. Il severo pedagogo gli proibí la lettura del Tasso e de’ poeti posteriori, lo ammaestrò di buon’ora nel greco e nel latino, e lo volse allo studio delle leggi, vagheggiando se stesso redivivo in un Metastasio giureconsulto e letterato. Ma il giovane era poeta nato. E, morto il Gravina, si gettò avidamente sul frutto proibito; e la Gerusalemme liberata, l’Aminta, il Pastor fido, soprattutto l’Adone, furono il suo cibo. Quella prima educazione classica non gli fu inutile, perché lo avvezzò alla naturalezza e alla semplicitá, e lo nutrí di buoni esempi e di solida dottrina. Ma, lasciato a se medesimo, si sviluppò in lui, come in tutti quelli che hanno ingegno, il senso della vita contemporanea. Il maestro volea farne un tragico a uso greco, o piuttosto a uso suo. Ma la tragedia non era la sua vocazione, e l’autore del Giustino preferí Ovidio a Sofocle, e, come era moda, fece la sua comparsa trionfale in Arcadia con sonetti, canzonette, idilli, i cui eroi di obbligo erano Cloe, Nice, Fille, Tirsi, Irene e Titiro. Il Sogno della gloria è l’ultimo lavoro a uso Gravina, ammassato di sentenze, che sono luoghi comuni, e pieno di reminiscenze classiche e dantesche. Il Ritorno