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xi - le «stanze» 361


sentazione l’Ambra, graziosa invenzione ispirata da Ovidio e dal Boccaccio. Ma il capolavoro è la Nencia, che pare una pagina del Decamerone. Qui Lorenzo lascia la mitologia e gli amori sentimentali e idillici, ed entra nel vivo della societá, rappresentando gli amori di Vallerá e Nencia, due contadini, con un tono equivoco che non sai se dica da senno o da burla, e scopre il borghese disposto a pigliarsi beffe della plebe. Tutta Firenze fu piena della Nencia: era la cittá che metteva in caricatura il contado. L’idillio vi si accompagna con quel sale comico, che si sente nel prete di Varlungo e monna Belcolore, e che è la vera genialitá di Lorenzo: basta ricordare i Beoni. Chi ama i paragoni ragguagli la Beca, la Nencia e la Brunettina, tre ritratti di contadine. Nella Beca del Pulci senti il puzzo del contado: la caricatura è sfacciatamente volgare e licenziosa. Nella Nencia hai l’idealitá comica: una caricatura fatta con brio e con grazia, con un’aria perfetta di bonomia e di sinceritá. Nella Brunettina del Poliziano hai il ritratto ideale della contadina, rimossa ogni intenzione comica. È la Venere del contado con morbidezza di tinte assai ben fuse, vezzosa e leggiadra nella maggior correzione ed eleganza del disegno. Notabile è soprattutto la veritá del colorito e la perfetta realtá.

Tra le feste si ravviva la poesia popolare. Vedevi Lorenzo andar per le vie, come re Manfredi, sonando e cantando tra’ suoi letterati. Il poeta della Nencia qui è nel suo vero terreno, divenuto la voce di quella societá licenziosa e burlevole. La trasformazione è compiuta: giungiamo sino alla parodia fatta con intenzione. I Beoni o il Simposio è una parodia della Divina commedia e dei Trionfi, non pur nel disegno ma nelle frasi: le sacre immagini dell’Alighieri sono torte a significare le sconcezze e turpitudini dell’ebbrezza. Tra questi passatempi poetici è da porre la Caccia col falcone, fatti frivoli e insignificanti, ma raccontati con lepore e con grazia in stanze sveltissime, con tutt’i sali e le vivezze del dialetto. Cosi si passava allegramente il tempo:

                               E cosi passo, compar, lieto il tempo,
con mille rime in zucchero ed a tempo.