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introduzione | 2i |
ticato e perduto. La forma è sé medesima, come l’individuo è sé stesso, e non ci è teoria tanto distruttiva dell’arte quanto quel continuo riempirci gli orecchi del bello, manifestazione, veste, luce, velo del vero o dell’idea. Il mondo estetico non è parvenza, ma è sostanza, anzi è esso la sostanza, il vivente; i suoi criterii, la sua ragione di esistere non è in altro che in questo solo motto: — Io vivo — . I nostri sensi bastano a farci comprendere della natura quello che è vivo e quello che è morto; nel regno dell’arte il senso del vivo, del reale è poco sviluppato, e non di rado avviene che i critici ragionino lungamente d’un’opera d’arte, come di cosa viva, ed è nata morta, e la chiamano bella, e ci trovano l’ideale, e l’alzano a modello! Lasciamo tranquilli coloro che oggi son detti poeti; ma quanto tempo non si è sciupato sulla Basvilleide di Vincenzo Monti? E non è popolo artistico se non quello che sappia misurare l’infinita distanza che separa l’ingegno dal talento, la creazione dall’aggregazione, e intenda perché sono collocati sí alto Omero, Dante, Shakespeare, Ariosto. Ma se vogliamo acquistare il senso del vivo, cominciamo col rovesciare i termini del problema estetico, e domandare al poeta non quanto abbia saputo idealizzare, ma quanto abbia potuto realizzare. In luogo di artializer la nature, proviamoci a naturalizer l’art.
Un lavoro resta a fare, ed è determinare ciò che è vivo e ciò che è morto. E ci accorgeremo che nel Petrarca è morto tutto ciò che ò imitato ed imitabile, il doppio petrarchismo, il rettorico ed il platonico. Molto vi è rimasto di vivo; e intenderemo pure che, se in questa vita ci è il manchevole e lo stanco e il meccanico, gli è perché non abbondò in lui, come ne’ sommi, la potenza generativa, la virilitá, la forza del realizzare; giungendo a questa conclusione, che quello che gl’idealisti reputano a sua gloria, fu appunto sua debolezza.
Un lavoro cosí fatto non sará il panegirico del Petrarca, ma sará il Petrarca vero, come lo desiderava Mézières.