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Dante è padre obbiettivo per eccellenza; il pensiero e l’affetto non rimane in lui nella astrazione dell’analisi, ma prende figura ed unitá nell’immagine e nell’azione. L’errore, fecondo di tanta poesia, in cui cadono i figliuoli alla vista del padre mordentesi ambo le mani vale tutta una scena rettorica delle comuni tragedie. Le loro poche parole contenenti in una immagine si peregrina e delicata tanta spontaneitá di affetto sono un grido sublime della caritá filiale, che rapisce in ammirazione e diverte alquanto lo sguardo da tanta angoscia. Succede lungo intervallo di silenzio, lenta agonia de’ fanciulli, taciturna rabbia del padre. Un ultimo tratto di puerile semplicitá, al quale bisogna arrestarsi, ove non si voglia inaridire la lacrima, è questo:

                               .    .    .    .    Padre mio, ché non m’aiuti?      

Quale coltello al cuore di un padre! Il fanciullo morente crede che il padre possa aiutarlo! Dante ha immaginata una vendetta di una brutale ferocia proporzionata al disperato dolore. Alla prima vista di Ugolino noi diamo indietro e lo guardiamo con raccapriccio ed orrore; e quando, compiuto di parlare, riprende il teschio misero co’ denti qual è il sentimento che noi proviamo? Lo stesso ribrezzo e raccapriccio. Scena unica, nella quale una profonda pietá è congiunta con insuperabile orrore: quel padre ci fa fremere e ci fa piangere. Shakespeare ha saputo innalzare l’orrore all’altezza del sublime. — «Egli non ha figli!» — Concetto piú atroce ancora, ma che, presentato non agli occhi, ma all’immaginazione, ci fa intravvedere, in una vaga lontananza, l’infinito della vendetta.

Il concetto ha la sua ultima determinazione in Virgilio ed in Dante, che sono, per dir cosí, il recitativo e l’aria della poesia. Virgilio espone e dichiara l’ultima ragione della natura e dell’ordine delle colpe e delle pene con molta sobrietá e semplicitá; e valga ad esempio il canto decimoprimo, stupendo di proprietá e di evidenza. Alcuna fiata ei si allarga alla spiegazione generale delle cose umane, come fa nel canto settimo, ragionando della. Fortuna, se dir si può ragionamento quella tanto vivace rappre-