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i due mondi della divina commedia 327


delle preghiere rappresenta l’infinito, vuoto, privo di realtá e di contenuto, Dio astratto degli orientali, non il Dio concreto, il Dio fatto uomo, il Dio azione dei cristiani. L’uomo, come dice un grande scrittore, porta gli dei nel proprio seno, o, come dice Leopardi, gran parte d’Olimpo in sé racchiude. Ciascuno porta in sé l’inferno e il paradiso: la vita terrena ha innanzi a sé un esemplare, un archetipo, un ideale del giusto, del santo, del buono; ciascuno ha un accusatore nella propria coscienza che, mentre cavalca fuggendo gli salta in groppa secondo l’energica espressione d’Orazio, post equitem sedet atra cura. Dante cava fuori questo sentimento e gli dá un’esistenza materiale. Il reale finito è rappresentato co’ suoi costumi, le opinioni, gli accidenti, ma ha innanzi a sé uno specchio in cui si mira e si giudica. Egli ci strappa dall’eterno per ricondurci a Firenze. Ma anche allora che noi ci aggiriamo in mezzo alle fazioni che dividono quella cittá e siamo pieni del mondo presente, egli ci pone innanzi lo specchio e tutto ad un tratto ritorniamo all’eterno. Vedetelo in Ciacco. Egli dimentica le sue pene, ed aggirandosi per la sua cittá natia dice: «Giusti son due, ma non vi sono intesi: | Superbia invidia ed avarizia sono | Le tre faville che hanno i cuori accesi». Tutto ad un tratto a caduchi interessi [Dante] fa succedere l’angelica tromba del giudizio: «I diritti occhi volse allora in biechi».

Per riassumere il concetto di Dante in una forma distinta, egli è la rimembranza, il sentimento duplice in cui il passato e il presente, il tempo coH’eterno, il finito coll’infinito si confonde. Il passato ritorna alla memoria dell’ombra, ma spogliato del suo prestigio, colorato dalle impressioni del presente. Basta egli questa unitá? Essa non è giá una semplicitá astratta, ma una totalitá capace di successione e di progresso, che è suscettiva di vita e di un processo interiore che tende a spiegarsi nei momenti successivi: l’inferno, il purgatorio e il paradiso. Che cosa è l’inferno se non l’uomo che si profonda nel lezzo della colpa e del vizio; il purgatorio l’uomo che acquista la coscienza di sé, e per espiazione si purifica dell’elemento terrestre? Il paradiso è l’elevarsi dalla materia, l’uomo che da contemplazione in con-