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vi. i continuatori dell’ariosto i7i

non vi ferma, che non vedete. Ora l’espressione è uno specchio coverto di macchie. Il pensiero passa attraverso noi, giunge al lettore falsificato, tradito, dimezzato. Nessun poeta ci dá una forma senza macchia. Omero ed Ariosto non hanno né pregiudizi, né preoccupazioni: sono perfettamente obiettivi.

L’impressione fu dapprima unanime. Ma i letterati cominciarono a riflettere sulla bellezza dell’Ariosto, giudicando con la poetica d’Aristotele e d’Orazio. Trovarono che Ariosto aveva infrante tutte le regole del poema: lo chiamarono poeta capriccioso, senza unità, dignità, ordine, principio mezzo e fine. Si formò una consorteria che biasimava Ariosto perché non aveva imitato Omero. I critici dissero: l’Orlando non è un poema; e questo indirizzo fu fecondo del Tasso. Segue l’indirizzo popolare. Le sue storielle fantastiche solleticano l’ammirazione, le sue storielle scandalose piacevano. Certi poeti che poetavano per far piacere al popolo non pensarono imitando l’Ariosto che a sviluppare questi due lati. E sono non lo sviluppo ma la degradazione del poema ariostesco.

Nell’Ariosto vi sono de’ personaggi accessori: Ferraú, Marfisa, Astolfo stesso, Ricciardetto, Angelica e Medoro. I continuatori si sono afferrati a questi personaggi, e ne hanno fatti tanti poemi. Chi fu il primo? Ariosto aveva detto finendo l’episodio di Angelica e Medoro: «Fors’altri lo dirà con miglior plettro». Quel che successe. Pietro Aretino scrisse l’Angelica. E l’Italia era tanto giù che, dopo Dante ed Ariosto, csò chiamare «divino» anche Pietro Aretino: dopo questa profanazione il titolo non fu piú dato a nessuno. Vi è una Marfisa, un Sacripante d’autori ignoti. Dovremmo fermarci sull’Orlandino di Teofilo Folengo, che è anche più spiritoso del Berni, perché è il gran rappresentante di questa epoca. Un popolo grande ride di rado, è serio; il riso frequente prepara la decadenza. L’Italia allora non faceva che ridere, dimentica del suo abbrutimento. Teofilo Folengo ha fatto in Italia l’opera di Cervantes e di Rabelais, rappresenta la caricatura del poema ariostesco. E con lui il cielo intellettuale italiano si oscura. Viene il Seicento, in cui l’Italia ebbe due malattie: nei primi cinquant’anni fu idro-