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davano l’aria e il genio contemporaneo. Alfieri soprattutto, quel birbone di Alfieri, come diceva suo padre, dové fare su di lui impressione. Anche in tempi posteriori Alfieri era l’idolo delle nostre scuole, esaltava i nostri sentimenti patriottici. Senti quella sua energia selvaggia in quella lotta di Giacomo contro il suo fato, scrivendo al Giordani. L’uomo, trasformato già letterariamente, s’andava trasformando ogni giorno nelle sue opinioni, politiche, religiose, morali.

Non mi domandate in qual punto e in quale ora avvenne questa trasformazione. È ridicolo affermare che il Giordani operò questo miracolo. Leopardi stesso non può dirlo se non a processo compiuto, come già notammo della sua conversione letteraria.

La sua salute s’andava sempre più fiaccando, nel tempo stesso che lo spirito si rinnovava, e si ergeva sopra al destino. Onde nasce una vita punto logica, anzi piena di variazioni e di contraddizioni; oggi prostrato, dimani un nonnulla lo rialza e lo riamica alla vita, all’amore, alla gloria, all’arte. La visita del Giordani gl’infuse nuovo sangue, lo ravvivò. Qualche mese dopo gl’inviò un manoscritto: erano due canzoni, l’una all’Italia, e l’altra a Dante.

Qui ci è una conversione tale, che sembra un salto. Ma non sembra a chi lo ha seguito in questi anni con qualche attenzione. In fondo è rimasto un classico, ma l’ambiente in cui vive è mutato. Non è più quell’ambiente paesano e scolastico, da cui usciva il difensore della Santa Alleanza. Avanzo della reazione cattolica in lui è rimasto l’odio alla Francia; ma tutto l’altro è mutato, e andrà via anche quello. Lo zelante cattolico non ha più in bocca neppure Dio; per ora lo supplisce col Fato. Chi abbozzava inni cristiani, ora canta l’Italia e Dante.

La materia è mutata; senti una prima rivelazione dell’arte nelle forme svelte, ne’ gagliardi spiriti. Ma quanto siamo ancora lontani dal segno!

Il concetto della canzone all’Italia è il solito luogo comune: «già fu grande, or non è quella». Un luogo comune qui espresso con molta vivacità da un giovane, che aveva nella sua immaginazione l’Italia di Cicerone e di Livio. Egli entra subito