Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
66 | giacomo leopardi |
viltade», — «me di sua pece amara Imbratterà la velenosa etade», — «il mondo ti spirò suo puzzo in viso».
Qui non c’è una situazione, quel tale spirito che in tutto è presente e in nessuna parte si vede; ci è piuttosto un succedersi di concetti astratti in forma ragionativa. E dico astratti, perché non giungono mai ad una vera formazione poetica, e sono come quella donna che muore, di cui sappiamo che l’era bella e schietta e in verde etade, cioè di cui non sappiamo nulla che resti nell’immaginazione.
Imitò Petrarca; volle anche imitare Dante. Purista e imitatore in prosa; purista e imitatore in verso: consonanza di studi e di gusto. Scrisse un così detto poema: Cantica della morte. A Giordani spiacque la scelta di argomenti così lugubri; e vi notò anche qualche menda, pur dicendo che di poesia non s’intendeva. C’era questo verso:
Era morta la lampa in occidente. |
A Giordani quel «la la» sonò male; e poi «lampa» gli parve troppo meschina cosa a indicare il sole. E il giovane corresse:
Spento il diurno raggio in occidente. |
La cantica fu messa a dormire. Pur nel 1826, stampandosi a Bologna tutte le poesie. Leopardi, che aveva allora ventotto anni, inserì in quella edizione un frammento della cantica, il quale comincia col noto verso:
Spento il diurno raggio in occidente. |
Nella stessa edizione pubblicò pure, sotto nome di elegie, il Primo amore, e l’altra che comincia col verso:
Dove son? dove fui? che m’addolora? |
Ma nella edizione di Firenze non pose di questa seconda elegia che un breve frammento, con lievi mutamenti, il quale comincia:
Io qui vagando al limitare intorno. |