Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
dalle lezioni zurighesi | 305 |
lenzio del gabinetto, senza occasione, senza avvenimenti; il generale non trova un concreto, nel quale si determini.
La forma, mancando di una materia da elaborare, si gitta sul di fuori e va al rettorico. Indi la personificazione della prima stanza, le due finzioni rettoriche delle due stanze seguenti, le descrizioni, cioè a dire lo sviluppo esterno e superficiale di ciascun oggetto che si presenta, e di conserva con tutto questo le ripetizioni, le interrogazioni, gli epiteti assoluti, una falsa profusione che simula la vita ed il calore. Ma già in questa canzone si vedono le tracce di un grande ingegno. Ci è la forma senza la materia, ma una forma possente che qua e là se ne crea una. Così isterilitosi il soggetto, è profondamente tragico quel subito obblio dell’Italia e di sé stesso, quel ceder la lira a Simonide, e cantare una patria migliore. Ciò che domina nella canzone è l’immaginazione che converte tutto in immagini, con facilità, con ricchezza, ma senza quella profondità che genera la temperanza. Il lettore si arresta però alla descrizione del combattimento dei Trecento, dove, salvo il paragone rettorico del leone, tutto è pieno di freschezza e di vita, è profondo, e a quell’erompere di grida entusiastiche nel punto in cui i guerrieri cadono. Ci è la simulazione della forza, e la forza non è il proprio del Leopardi. Al contrario vedi qua e là farsi viva quella disposizione agli affetti teneri e delicati che lo ha fatto sì grande, come alla fine della terza stanza ed alla fine della quinta.
Quanto ai pensieri, sono la più parte triti, e qualcuno concettoso, come il «morendo si sottrasse da morte», e come l’Italia nata a vincer le genti «e nella fausta sorte e nella ria». L’ultima stanza contiene uno di quei pensieri originali che annunziano la meditazione e l’elevatezza dell’animo. Volgarmente si dice che la poesia eterna le grandi azioni. Per Simonide il grande uomo è colui che fa; e sente invidia per i Trecento e desiderio di imitarli; e si augura che la sua fama duri quanto la loro. Si vede nel giovine poeta già una gran pratica del verso, molta facilità, niente ancora di proprio: ci è del Petrarca, del Filicaia e del Metastasio.
La seconda canzone è magnifica di argomento; dovrebbe es-
20 — De Sanctis, Leopardi. |