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qualità che egli loda in Anacreonte. Ti par di leggere Cesarotti o Bettinelli; non c’è ancora Leopardi.

E par che di questi autori appunto nutrisse la sua prosa, impropria e, come dice il suo annotatore, «infrancesata».

Il suo discorso sulla Batracomiomachia è ancor peggio scritto e d’importanza assai minore. Comincia così:

Quando, dopo aver letta qualche opera di autore sconosciuto, la troviamo interessante e degna di osservazione, siamo tosto spinti dalla curiositá a ricercarne lo scrittore. Avendone rilevato il carattere dall’opera stessa, bramiamo avere un nome a cui applicarlo.

Più tardi Leopardi non dirà «interessante» e non «tosto», e userà il «ne» riferito a persona, e non dirà «rilevare», e non «applicare» in quel modo grottesco che ha fatto.

Abbiamo visto il commentatore del 1815; vediamo ora il traduttore. Comentò Mosco; tradusse Mosco. Certo, leggendo que’ versi, ti viene subito nell’animo che non sieno quelli i primi versi, e non sia quella la prima traduzione. Aveva preceduto un lungo esercizio del tradurre e del verseggiare. Oltre i suoi lavori di scuola, abbiamo l’Arte poetica di Orazio, esposta in ottava rima, a tredici anni, come dicono, e si ricordano pure parecchie versioni dal francese, dall’inglese, dal greco, più o meno autentiche, di poco posteriori. Ecco qui, come saggio, tradotti quattro versi di Saffo:

    Oscuro è il ciel: nell’onde
La luna già s’asconde,
E in seno al mar le Pleiadi
Giá discendendo van.
    È negra notte, e l’ora
Passa frattanto, e sola
Qui nelle piume ancora
Veglio ed attendo invan.

Ora, «cielo oscuro» e «notte negra» sono fratelli carnali, e il tramonto della luna e delle Pleiadi è descritto come se Saffo