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xx. 1824- le «annotazioni» 177

che s’immedesimi subito nella lingua naturalmente. Vale più a produrre il miracolo la spontaneità popolare, che sforzo solitario di dottrina e di gusto. Oggi a un giornalista riesce facile quello che a Leopardi era difficilissimo. I suoi latinismi si possono giustificare, non approvare, e non fanno lega, non s’incorporano nella lingua.

Leopardi avea comune con tutti i letterati di quel tempo, massime i classici e i puristi, il disprezzo della moltitudine, l’orrore del volgare e del luogo comune. La poesia dovea essere togata e solenne, sopra alla realtà, e, come dicevasi, ideale.

Perciò non guardava con molta simpatia alla scuola manzoniana, che si accostava al reale e cercava il naturale e il semplice. Ma d’altra parte al suo fine gusto non poteva piacere quella solennità teatrale e convenzionale, degenerata in maniera, che dicevasi classica, e ch’egli notava sino nelle prose del suo Giordani. Monti gli doveva parere in que’ suoi rimbombi un pallone di vento. Migliore impressione doveva fargli Foscolo, la cui influenza sul suo spirito è visibile. Il poeta andava cercando una forma nuova, che fosse lontana e dalla negligenza degli uni e dall’affettazione degli altri. Aveva anche lui il pregiudizio di quei pittori che sdegnano i quadretti di genere, e aspirano al gran genere, alla pittura storica, come se la grandezza e importanza dell’arte fosse nel valore della stoffa. Anche lui cercava il gran genere e, conservando nei cartoni quei suoi cari idillii, rumoreggiava nelle canzoni, che sono in verità il genere più alto e solenne. Volle dare alle sue canzoni una forma severa e augusta, quasi epica, e più va innanzi, e più ci s’intesta. Cercò il modello nella nobiltà petrarchesca e nella romana maestà. Semplificò l’uso delle rime, sciolse da ogni artificio d’intreccio le stanze, cercando una andatura libera insieme e grave; aguzzò e condensò i concetti, latinizzò vocaboli e costrutti, irrigidì e oscurò le tinte, e impresse a tutto un carattere, tutto scolpì e rilevò. Non ci è una sillaba, e non un’armonia a caso; tutto è previsto, a tutto è un senso.

Disegno di composizione, distribuzione di parti, scelta di colori e di armonie, uso di figure, di epiteti, di trapassi, in tutto

12 — De Sanctis, Leopardi.