Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
136 | giacomo leopardi |
forme sentenziose, come si fa un tema astratto. La sua esortazione alle donne sembra più una cerimonia o una convenienza imposta dal tema, che un moto di cuore. La fede, lo sdegno, l’indignazione, il disprezzo, l’amore della bellezza e della virtù, il desiderio della patria, tutte queste forze del cuore giacciono, paiono morte insieme con «la infelice Italia», appena nominata. Ciò che rimane vivo, è questo concetto: che la redenzione della patria è in mano della donna. Ma è un concetto di occasione, suggerito dal tema, e che non torna più in altre poesie. Anch’esso in forma di sentenze o di consigli, come farebbe un moralista:
Madri d’imbelle prole V’incresca esser nomate. |
La missione educativa della donna è materia alta di poesia, chi la tratti con piena fede nell’avvenire, e con pieno sentimento di quell’eterno femminile, che ispirò Dante e Goethe. Ma l’avvenire è nero a Leopardi, e la sua donna abita nella regione dei sogni e degl’ideali, e sembra più un vapore che un corpo. Non è dunque maraviglia che a lui il soggetto sfugga nella sua concretezza e novità, e si risolva in generalità, che non hanno altro di peregrino se non l’espressione. Il soggetto non è fortemente pensato, anzi è appena libato nella sua superficie, incalzato da reminiscenze classiche di pensieri e di forme. E gli sbuccia innanzi anche la donna classica, la donna di Alfieri, che si fa svenare per amor della patria:
E se pur vita e lena Roma avrà dal mio sangue, e tu mi svena. |
Si vede una immaginazione contenuta, che innanzi a’ mali obbrobriosi della patria non si slancia nelle onde di un avvenire vendicatore, a cui non ha fede, ma si ripiega nelle memorie classiche, dove trova le orme de’ primi studi e delle prime ispirazioni, e dove trova le immagini dei vetusti divini e di quei tipi