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xi. 1819 - gl’idillii | 105 |
astratto, diventano sentimenti, investono tutta la persona. È la vita guardata da un nuovo aspetto, di un colore fosco e cupo, un colore di morte, sotto il quale conserva tutto il suo calore:
colei teneramente affissi Gli occhi negli occhi miei, già scordi, o caro, Disse, che di beltà son fatta ignuda? E tu d’amore, o sfortunato, indarno Ti scaldi e fremi. Or finalmente addio. Nostre misere menti e nostre salme Son disgiunte in eterno. A me non vivi, E mai più non vivrai... |
Questo è l’ultimo salire della emozione drammatica. Quell’«addio», quello «in eterno», quel «mai più» congiunto con quel «teneramente», con quel «caro», con quello «ti scaldi e fremi», ti fanno balzare innanzi contemporaneamente la vita e la morte, e producono quella impressione complessa, incapace di analisi, così potente, che ottiene Dante nell’Inferno, dove è pure l’uomo vivo nel regno della morte e del vero. L’inferno non c’è più; il simbolo è consumato; resta un inferno psicologico, la vita rappresentata direttamente nei suoi inganni e nei suoi disinganni. Si misura la distanza tra il decimoquarto ed il decimonono secolo. Ma la poesia è quella, stessa ispirazione, stessi effetti. Leopardi ha infine ritrovato sé stesso.
Se il poeta rappresenta bene l’inferno, voglio dire quel non so che cupo e funebre che nasce da una legge eterna e senza viscere, non è egualmente felice nella rappresentazione della vita. Ancora molte reminiscenze, ancora un fare troppo classico, un dire in frasi girate le cose più semplici, un tradurre in forma letteraria concetti immediati e popolari.
Le reminiscenze abbondano, specie nell’introduzione. Ecco qualche esempio di forma letteraria:
Quanto, deh quanto Di te mi dolse e duol: né mi credea Che risaper tu lo dovessi. |