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nota 373
Il De Sanctis questo doveva intendere, quando cercava invano le condizioni passate, e la passata generazione.

        Ma questo è l’esordio: torniamo al professore.

Sua intenzione è di raffrontare le letterature di Europa nel secolo presente.

Come comincia l’arte nel secolo decimonono? Il professore ha delineato prima, ed ha fatto benissimo, come l’arte sia finita nel secolo decimottavo. Dal contrasto delle due età si raccoglie più preciso il significato dell’una e dell’altra.

Che cosa voleva il secolo passato? Restituire all’uomo la naturale libertà, i diritti sortiti da natura, e manomessi dalla Società. Fu una riscossa contro le istituzioni sociali tutte quante. Alla fede fu contrapposta la ragione, ai privilegi delle classi la eguaglianza, al dritto divino ed alla legittimità la sovranità popolare. Questa negazione recisa di tutta la società esistente era il contenuto di quella letteratura, la quale il De Sanctis disse « letteratura che aveva per ideale la natura, e la negazione del cielo ».

Ma questo contenuto, effetto dell’astrazione degli Enciclopedisti, contrastava con la forma: non era un ideale nato dalla vita di un popolo, ma anzi ad essa opposto, ed elaborato dalla speculazione filosofica. Il Rousseau compendiò questa contraddizione in quel celebre motto: l’uomo per natura è libero, ed intanto si trova schiavo da per tutto. Onde l’arte, ad incarnare quel concetto, dovette mutuare la forma dalla società stessa, da quella società che essa negava: la forma togata contraddiceva palpabilmente al contenuto democratico; nella stessa guisa, che fa risibile figura oggidì un tribuno titolato, un democratico col blasone; un Bruto commendatore, come direbbe il Giusti.

Tal è il difetto dei nostri tre grandi poeti di quell’età, dell’Alfieri, del Foscolo, del Parini. Con un acconcio raffronto tra il Timoleone dell’Alfieri ed il Farinata di Dante, mostrò il De Sanctis il divario fra l’ideale vero, maturato nella coscienza di un popolo, e rilevato dall’artista, ed il concetto meramente astratto, concepito nella solitudine, e quindi falso ed esagerato. Il Farinata vive, sente l’ira, s’infiamma alla vista del figlio del suo nemico, e quando dice: « Ciò mi tormenta più che questo letto », noi crediamo alla veracità della sua rabbia. Il Timoleone. di Alfieri, invece, si sdegna a freddo, e declamando in cinque atti interi non ci commuove. Noi vediamo non Timoleone, ma una finzione dell’Alfieri, sotto i nostri occhi.

Questa differenza tra l’Ideale ed un’idea, il De Sanctis l’ha fatta toccare poi con mano: l’ideale non è un concetto astratto, ma tutta quanta la persona, in una situazione reale, e storica. Nell’analisi dell’Ideale il critico napoletano ci ha fatto ricordare la stupenda teorica dell’Hegel.

Al secolo decimottavo, che si chiudeva in Italia coi Sepolcri del