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Non solo Manzoni ha ristaurato un contenuto morale, ma ha voluto dargli la realtà d’un contenuto storico. Una delle principali divise della scuola poetica tedesca era il caricatureggiar il romanzo puro che tradiva ogni colorito locale o storico: essa imponeva alla poesia di ritemprarsi nella storia. Il Manzoni n’era capo, ed un profondo sentimento del reale storico e morale informa tutte le sue poesie. Cerca l’effetto poetico non da azioni inventate ma dalla storia presa sinteticamente. La storia racconta i fatti cronologicamente; il Manzoni li riunisce sotto un punto di vista. La morale gli dà qualche cosa di superiore, da cui nasce quella soavità, quella placidezza come d’un uomo che guardi la terra dal cielo.
Perché il mio esame del Cinque Maggio riesca chiaro, sgombriamolo dalla parte esterna. Manzoni ha inventato il metro di questa poesia: una stanza di dodici versi, separati in due parti, sei e sei; ciascuna parte contiene tre versi sdruccioli, due piani rimanti, e un tronco che rima col tronco dell’altra parte, sicché la stanza fa un sol concetto. Qual è il secreto di questo metro? La scuola poetica anteriore aveva una chiarezza da rassomigliarsi ad un brodo diluito, diceva tutto: il Manzoni v’ha sostituita una precisione filosofica. Un epiteto fa ritratto, una parola compendia una vita: ha per carattere un’avarizia di parole, un odio dell’improprietà, della perifrasi, della circonlocuzione. Che cosa è questo? La morte della rettorica. Nella