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ix. la poetica di manzoni 225

la storia è da una parte, l’ideale dall’altra, senza compenetrarsi: stanno come due linee parallele senza mai incontrarsi, e dove non c’è fusione non c’è vita.

Or che c’è di vero in questa concezione esagerata? Qual è l’errore?

C’è di vero il bisogno del positivo e del reale.

Quando l’immaginazione a forza di abusare di se stessa ha finito col consumarsi (perché nel corso del mondo c’è un tempo in cui la mente lavora sola, fuori del positivo, e allora nascono i sistemi teologici e filosofici e la grande poesia; e poi lo spirito finisce col logorare se stesso), si sente il bisogno di altra sfera, di cibarsi di un nutrimento più sano. Il secolo XIX cominciò con questo sentimento. La Rivoluzione s’era presentata cosí astratta, così lontana dall’esperienza, i poeti e pensatori rappresentarono così astrattamente il loro mondo morale e politico (e sapete che esso degenerò anche in rettorica), che sorse il bisogno di afferrarsi al positivo. E Manzoni ubbidiva, senza saperlo, alla stessa tendenza di Goethe, degli Schlegel, di Troya, di Thierry ed altri.

C’è ancora un altro utile che Manzoni produce colla sua poesia. L’arte deve avere anch’essa la sua educazione: non perché uno ha ingegno poetico e legge Virgilio, Omero, Dante, può prendere la penna e far poesie. Ci vuole, direi quasi, una ginnastica anche per formare ed educare l’ingegno poetico. Al tempo di Manzoni i poeti lavoravano unicamente con la immaginazione, studiando su altre poesie, altri modelli. Monti, Alfieri, Foscolo, Parini, lavoravano su d’un repertorio pescato nelle poesie greche, latine, italiane; l’ingegno educavasi unicamente con lo studio di Virgilio, Omero, Dante e altri poeti. Che cosa fa Manzoni quando richiama allo studio del positivo? Indica una nuova ginnastica, più efficace: — Invece di studiare la natura in Virgilio, egli dice, studiamola in se stessa; invece di studiare l’uomo in Omero e Dante, guardiamolo non quale l’hanno immaginato i poeti, ma qual è stato ed è nella realtà — . Quel non ritrovare la sua immaginazione che uscendo, per dir così, dagli abissi degli studi storici; quel non metter mano a descrizioni

15 — De Sanctis, Manzoni.