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patria dal Re Carlo Alberto instituita, volendo con questo significare, che sapeva riconoscere i servizi di chi, membro della deputazione, e poi vicepresidente della medesima, e censore, dava forte spinta agl’interessi della scienza e della patria.
Al Promis si deve ancora se potè introdursi quel libro di Gioberti, nel quale, con tinte sì vive e smaglianti, come ben disse l’elegantissimo Terenzio Mamiani1, figurando l’archetipo del primato civile d’Italia, la costringeva, mirandolo, a vergognare di sè medesima. Al Promis, se succedaneo a quel di Gioberti, s’introduceva il libro delle Speranze d’Italia, con profondo acume analizzato dall’illustre Ricotti nella sua coscienziosa Vita di Cesare Balbo. Al Promis si deve se la valorosa Giulia Molino-Colombini potè pubblicare parecchie di quelle sue poesie, che spirano magnanimi sensi e splendono di rare bellezze, per vigorosi pensieri, per potenza di stile e elegiadria d’imagini. A Lui se si potè pubblicare l’inno coll’azzurra coccarda sul petto, cantato con tanto entusiasmo in Torino. A lui infine si deve se il Messaggere, il Subalpino, e le Letture di famiglia non trovavano ostacoli a diffondersi. E chi nelle Scene Elleniche non presentiva il fremito delle future battaglie, e negli aneliti dei Greci non riscontrava i conati, che non tarderebbero a sostenere gli Italiani? Niuno può negare, che in quei periodici e in quei libri non vi siano articoli d’idee avanzatissime; che da quei rigagnoli non siasi ingrossato il fiume, che rotta poi la diga doveva tutta quanta allagare l’Italia! Il Promis sapeva moderare gl’impeti, incoraggire le speranze, scusare le imprudenze degli scrittori; e giovando agli individui, promuovere la più nobile causa, che allor si potesse, le Riforme foriere dello Statuto. Della sua carità di patria ebbe egli a riportare tale guiderdone, che molti possono invidiare, ma difficilmente ottenere. Un giorno inaspettatamente vide deposto sopra il suo scrittoio uno stupendo calamaio d’argento coll’epigrafe:
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AL CAVALIERE DOMENICO PROMIS Ma da chi veniva il dono? che diceva la lettera ond’era accompagnato? Noi la riproduciamo perchè sommamente onorifica e perchè documento prezioso di quei giorni di tante aspirazioni e speranze: «A Lei, onorando signor Cavaliere, che in tempi meno dei presenti secondi allo sviluppo della libertà intellettuale, seppe essere ottimo interprete dei doveri inerenti all’arduo e delicato ministero della censura, e che, servendo ad un tempo ai veri interessi del Principe, ai voti della Patria ed ai bisogni della progrediente civiltà, apparecchiò, per la parte sua, i prosperi tempi, che or sorgono, era dovuto da’ suoi concittadini un omaggio di riconoscenza. E i concittadini suoi qui sottoscritti hanno creduto di non dovere più oltre tardare a tributarglielo prendendo l’occasione in cui S. M. si degnò costituire e sanzionare in legge quella latitudine di stampa, la quale fu per l’addietro frequente beneficio dovuto al senno, all’amor patrio, al coraggio civile di Lei.» Torino, 26 novembre 1847. All’originale sono soscritti nullameno, che Cesare Balbo — Camillo Cavour — Roberto D’Azeglio — Antonio Scialoia — Giuseppe Massari — Lorenzo Valerio — Luigi Cibrario — Angelo Brofferio — Costantino Reta — Teol. Pietro Unia — Avv. Giovanni Baracco, e una trentina di altri d’ogni opinione e colore. E tanto rincrebbe a Boncompagni di non avere potuto soscriversi cogli altri, che stimò mandare al Promis la seguente: Di Casa, 6 dicembre 1847.
«Solamente l’altra sera, uscendo dall’Accademia, seppi, che parecchi o scrittori, o amici delle lettere si erano uniti per significare alla S. V. la som- |