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Non è lieve motivo di consolarsi il veder coltivato ardentemente lo studio dei Classici Latini e Greci nell’età nostra. La familiarità che acquistano i Letterati con sì fatti modelli, che o son perfetti per quanto esser possono perfette le cose umane, o almeno rasentano la perfezione, non può non produrre una squisitezza di gusto più universale, o porre un argine alla depravazione di esso, se mai per disavventura ci fosse. Il Tiraboschi parlando della viziosa maniera di poetare del Secolo XVII. ebbe a dire che convien confessare che quella fu la Provincia (e parla della Toscana), in cui l’universale contagio, che sì grande strage menò nell’altre parti d’Italia, più lentamente si sparse, e vi fece men funesti progressi1. Ma ed a chi recar si dee la cagione di tal fortunato riparo? Il fiore dei Letterati Fiorentini apparteneva allora alla celebratissima Accademia della Crusca, che avea per unico oggetto la cultura della patria favella; nè questo potea farsi senza aver continuamente fra mano i tre Padri della Toscana eloquenza Dante, Petrarca, e Boccaccio, ch’erano appunto