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xx A chi legge

gione, anzi più volte a torto che a ragione), e a parità Giovenale, il Foscolo e Gabriele D’Annunzio (quest’ultimo specialmente in grazia dei motti di guerra); poi Shakespeare, il Monti, Plauto con Svetonio ed il Parini, Napoleone I, poi in pari grado Terenzio, Marziale, Molière e Olindo Guerrini; e finalmente tre gruppi a breve distanza fra loro, Plutarco e Paolo Ferrari; poi Tacito, Quintiliano e Publilio Siro a fianco dell’ex-imperatore Guglielmo II; e per ultimi Tito Livio, Lafontaine, Victor Hugo e il Prati. E mi pare che basti.

Anche altre considerazioni può suggerirci il libro, ove si ponga mente alle curiose trasformazioni che hanno subìto le citazioni storiche e letterarie. Delle frasi storiche, si può dire senz’altro che i tre quarti sono apocrife, in ogni modo è ben raro che siano esatte. Se si risale, come ho cercato di fare, alle fonti originarie, le si trovano sempre trasformate: il pensiero sarà quello, ma la forma è sempre meno solenne, meno rettorica. Il popolo se ne è innamorato, e le ha accomodate, vezzeggiate, rese più sonore. Era anche legge di selezione naturale, altrimenti non avrebbero potuto sopravvivere nella memoria delle persone indotte o mediocremente colte1. Anche le citazioni letterarie


  1. Non sempre la deformazione è spontanea o inconsapevole: non di rado essa è fatta artificiosamente per feticismo o per un sen-