d’una definizione siffatta, e, per darle una base solida, studiarono le origini del piacere artistico. Così trasformarono la questione della bellezza in una questione di gusto. Ma in ultima analisi si scoperse che il gusto non è più facile a definirsi che la bellezza. Perchè non c’è, nè ci può essere alcuna spiegazione compiuta e seria del motivo per cui una cosa piace a uno e dispiace a un altro, e viceversa. Quindi l’estetica intiera, dalla sua fondazione sino ai nostri tempi, fallisce in quello che ci potevamo attendere da essa nella sua qualità di pretesa scienza; non avendoci saputo determinare nè le proprietà e le leggi dell’arte, nè il bello, nè l’essenza del gusto. Tutta codesta famosa scienza dell’estetica consiste, in fondo, a non riconoscere come artistiche se non certe opere, per l’unico motivo che ci piacciono, e poi ad architettare una teorica dell’arte adattabile per l’appunto a cotali opere. Si comincia dallo stabilire un canone artistico, secondo cui si designano come opere d’arte certe produzioni che hanno la fortuna di piacere a certe classi sociali, le opere di Fidia, di Raffaello, del Tiziano, di Bach, di Beethoven, d’Omero, di Sofocle, di Dante, di Shakespeare, di Goethe, ecc.; dopo ciò le leggi