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nel quale l’ingegno italiano prodigj aveva operati di bel sapere, altro succedere ne dovette di tenebre e di malaugurato squallore.

Marini, Murtola, Achillini, Preti, ed altri poeti italiani abusando della loro calda fantasia, con immenso seguito di malaccorti proseliti, dal buon sentiero de’ maggiori declinando e nel proprio valore pazzamente fidando, balzarono per nuove vie tentando di giugnere alla celebrità; ma come spesso accader suole a chi in se stesso troppo confida, vane riescirono le millantate loro speranze, che le strane metafore e le antitesi e le iperboli e le orientali ricercate comparazioni, e tuttociò di cui per lunghi anni fecero pascolo dell’orgoglioso loro intelletto, non servirono che a renderli poi miserabile oggetto di derisione. Rimasero alcuni pochi immuni o poco infetti dal contagio, e gli sforzi d’un Filicaja, d’un Menzini, d’un Redi, d’un Fulvio Testi, d’un Chiabrera, d’un Alessandro Guidi appena bastarono a tenere in fama il XVII secolo.

In tanto decadimento le donne Italiane, non trovando diletto alcuno nel nuovo modo di scrivere che a crudele tortura poneva l’ingegno, senza che l’anima o dal virgiliano maestoso cantare fosse innalzata, o dal dolce piagnere di Tibullo commossa, si stettero elleno pressoché tutte meste in silenzio, e le belle arti a soccorso invocarono ed a

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