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delle preponderanze straniere 167

piú arditamente. Epperciò, dopo tante cadute, da sessant’anni in qua, quella nazione ebbe altrettanti risorgimenti; non cadde per lo meno mai in niuno di que’ due avvilimenti ultimi e indivisibili, dell’incapacitá militare e della dipendenza esterna. Certo che l’Italia non avrá mai Danti, Parini od Alfieri a centinaia e migliaia; ma quando le centinaia e migliaia de’ suoi scrittori seguiranno questi uomini suoi quasi soli severi, invece di tener dietro alla turba dei nostri grandi adulatori, scusatori o copritori, allora solamente e finalmente l’Italia avrá una opinione sana e virile che la conduca a virili fatti. Quanto all’Alfieri, io so che ad una adorazione di lui, forse soverchia, succede ora in alcuni una soverchia disistima; che dopo averlo posto sopra tutti i tragici antichi o stranieri, si pone ora sotto ai greci, francesi, spagnuoli, inglesi e tedeschi. Ad ogni modo, ei fu diverso da tutti questi in molte parti; e fu grande abbastanza per fare alla poesia, a tutte le lettere italiane il solenne benefizio di ricondurle (sia pur colla durezza od anche secchezza) a qualche severitá. Ed egli poi fece a noi piemontesi il beneficio particolare di farci entrar nelle grandezze delle lettere nazionali, d’incamminar il secolo aureo di queste nostre provinciali, le quali comprendono giá, fra non pochi altri, i nomi di Botta, di Pellico, di Gioberti e d’Azeglio. — Del resto, noi avremmo potuto allungar la lista qui sopra coi nomi di parecchi poeti minori, lirici e didascalici, Manfredi, Spolverini, Bondi, Pignotti, Frugoni, Savioli, Fantoni, Mazza, e del tuo, o ottima e veramente nobile Deodata. Ma le poesie liriche, anche buone, sono forse com’acqua al mare, in Italia; e se taluno s’offendesse di tale opinione, io addurrei l’esempio d’uno de’ maggiori lirici che noi abbiamo avuto mai, il quale si contentò pure di far cinque canzoni. Se la lirica può esser utile, certo sarebbe esercitandola, come il Fantoni ed alcuni altri de’ nomati, su soggetti attuali e patrii; e ciò pure fu un progresso. E fu un altro, a parer mio, che cosí pur si scrivesse in vari dialetti nostri; dal Galiani in napoletano, dal Calvi in piemontese, dal Porta e dal Grossi in milanese, dal Meli in siciliano. Voglion altri, lo so, che sia male scrivere ne’ dialetti, quasi se ne scemino i cultori