Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
alcune versioni. | 373 |
Teco, o mio Bruto, fra le morte genti
Verrònne: — Porzia esterrefatta dice,
Ed abbocca io sì dir le brage ardenti.
Grida Vittoria: — O Davalo infelice,
Io, te spento, vivrò, sempre in lamenti. —
Ambe romane fûr; ma vincitrice
Vittoria apparve in ciò: breve sostenne
Quella un dolor; questa un dolor perenne.
Ettore Marcucci.
Altra versione.
Senza te, Bruto mio, viver potrei? —
Porzia sclamò, compresa da terrore,
E le braci assorbì. — Morto or che sei,
Avalo, io rimarrò, sol nel dolore, —
Disse Vittoria, — a trar tutti i dì miei. —
Ambo romane fûr; ma in ciò maggiore
Vittoria sembra: chi di vita è priva
Più dolersi non può; duolsi chi è viva.
Lo stesso.
Chiedi, Cherinto, chi ne’ nostri amori
Sia prima, se Glicera o se Licori?
E chi tel sapria dir? questo io so bene,
Ch’ardo per l’una e son per l’altra in pene:
Anzi ardo e peno per questa e per quella,
Come se fosse ognuna la più bella,
La più graziosa, la più ornata e pia,
La più gentile e più di cortesia.
Onde ben vedi se ti poss’io dire
Come la cosa la potrà flnire.
Anicio Bonucci.
ariosto. — Op. min. — 1. | 32 |