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cosí distratto, che piú non si potrebbe dire. Giá il buon Fórnari vide l’opportunitá d’accompagnare l’Apologia del suo poeta con un capitoletto sopra «alcune contradittioni con le solution loro» (Spositione cit., p. 49 ss.), le quali «solution», naturalmente non sono quelle del Borgognoni. Gli autogr. darebbero ben altro ad un raccoglitore di quisquilie! Ad ogni modo, si tratta d’errori che in gran parte tu correggi a prima vista. Il piú grosso è quello che farebbe andare Ruggiero lá dove non ci risulta che Astolfo avesse un tanto compagno:

tosto ch’entrò Ruggier nel divin loco XLIV 25, 8

.

La svista era giá in B: di chi la colpa? Comunque, giá nel Cinquecento fu opportunamente corretto ’l guerrier, e sta bene.

Se sono frequenti (chiunque ne abbia a render conto, che non si saprá mai, e importa poco) gli errori di stampa, assai piú lunga, a volerla tutta descrivere, sarebbe la serie dei presunti errori, cioè di quelle parole che furono ritoccate dai successivi Edd. con la pia intenzione di far del bene all’Ariosto. Basti un paio d’ess. Tutti ricordano nella scena di Zerbino moribondo ed Isabella l’ottava «Ma poi che ’l mio destino» in cui l’amante versa il suo ultimo e piú amaro strazio:

               Ma poi che ’l mio destino iniquo e duro
          vol ch’io vi lasci, e non so in man di cui;
          per questa bocca e per questi occhi giuro,
          per queste chiome onde allacciato fui,
          che disperato nel profondo oscuro
          vo de lo ’nferno, onde il pensar di vui
          ch’abbia cosí lasciata, assai piú ria
          sará d’ogn’altra pena che vi sia (XXIV 79).

Noi, col Fanizzi, abbiamo accettato onde di C. Il Ruscelli, guidato dalla sua grammatica, corregge ove (ch’era del resto la lez. di AB), e altrettanto fa il Morali. Ma negli scrittori ferraresi onde per «ove» è frequentissimo (cfr. Mambriano I 52, 4, II 16, 3 ecc.), e se anche i grammatici lo condannano, sarebbe facile farne le difese. L’Ariosto s’è permessa una lieve licenza stilistica, per rialzare i suoni d’un verso ch’era un po’ fiacco, e animarlo d’un affetto piú vivo.

Rileggiamo quella celebre introduzione che vanta le virtú