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di divise e di sangue garibaldino, i cui nomi ci avevan fatto tanto battere il cuore nel 66; e sentivamo tra gli squilli delle trombe sibilare al vento le fitte selve di quel piccolo Eden alpestre di Val di Scalve, e ruggire precipitando l’Ario furioso, coronato di mille arcobaleni. Chi sa che non ci fosse un soldato di quell’indimenticabile villaggio di Cimbergo, appiccicato alle altissime rupi come un nido d’aquila? o l’ufficiale che battezzò il passo della tredicesima ai piedi del Monte Adamello? Il Rogelli conosceva tutti, chiamava dei sergenti per nome, salutò con espansione il comandante della fortunata compagnia che si gode l’estate all’ombra dei colossali castagni d’Edolo, nell’antico luogo di passo dei pellegrini diretti a Roma e a Terra Santa; e non sentiva la voce insistente dell’agronomo che gli chiedeva notizie del vin di Volpino; mentre la folla gridava freneticamente, agitando fazzoletti e cappelli: — viva Val Camonica! viva Brescia! viva gli eroi del 49! e gli ultimi due plotoni passavano, con l’anima e gli occhi rivolti al Re, lasciando come un ribollimente di procella in tutto quel sangue italiano.



Altre trombe squillarono, un nome sonò, e mille nuove immagini, come un getto di scintille di mille colori, ci luccicarono alla mente: colli verdi, antiche torri, un gran fiume, e Giulietta, e l’Arena, e le tombe, e Dante esule, e Catullo, e i grandi quadri del Veronese: quanta Italia! S’avanzavano le compagnie dei Monti Lessini, dei giovani alti, di forme fatticce e svelte, e d’occhio vivo: nati in buona parte su quei