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4 Dialogo Primo.

sceltezza dell’Eneide, la varietà e l’evidenza dell’Orlando, la nobil finitezza della Gerusalemme, la verità, lo spirito Filosofico, e le bellezze particolari dell’Enriade, l’invenzione della Mandragora, i caratteri del Misantropo, la dolcezza de’ numeri del Sannazaro, la felice negligenza del Chapelle, tutte queste cose erano da noi comparate in modo, che nè la lontananza de’ tempi ci facea apparire più armonioso un verso, nè la diversità de’ paesi men sublime o men gentile un pensamento. Si mescolavano episodj a tutto ciò e distrazioni, delle quali la Marchesa non mi sapeva più mal grado, che se io le avessi detto ch’ella era bella.

Un episodio, in cui io le parlai della forza e de’ vantaggj della Poesia Inglese, le fece venir volontà di assaggiarne alcuna cosa, stimando ella per altro che quella Nazione, a cui Minerva â cotanto de’ suoi doni profuso, non dovesse poi essere stata scarsa di quelli di Apollo.

Increbbe senza fine a me, che null’altro che far piacere cercava a colei, che tanti a me ne faceva ognora, di non poterle dare che una manchevole ed imperfetta idea dell’armoniosa fecondità di Dryden, della soave mollezza di Waller, del vario e pieghevole stile di Prior, dell’arguto spirito e del brio de’ Rochester, e de’ Dorset, della corretta maestà dell’Addison, degli arditi e robusti tratti del Shakespear, e della gigantesca sublimità Miltoniana. Parlare del merito d’un Poeta è lo stesso che voler descriver la bellezza d’un volto, che bisogna co’ suoi propri occhi ve-


dere,