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EPOCA TERZA. CAP. XII. |
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lora comprai la raccolta più per averla che [1771] non per leggerla, non mi sentendo nessuna nè voglia nè possibilità di applicar la mente in nulla. E quanto alla lingua Italiana, sempre più m’era uscita dell’animo e dell’intendimento a tal segno, che ogni qualunque autore sopra il Metastasio mi dava molto imbroglio ad intenderlo. Tuttavia, così per ozio e per noja, squadernando alla sfuggita que’ miei 36 volumetti mi maravigliai del gran numero di rimatori che in compagnia dei nostri quattro sommi poeti erano stati collocati a far numero: gente, di cui (tanta era la mia ignoranza) io non avea mai neppure udito il nome: ed erano un Torracchione, un Morgante, un Ricciardetto, un Orlandino, un Malmantile, e che so io: poemi, dei quali molti anni dopo deplorai la triviale facilità, e la fastidiosa abbondanza. Ma carissima mi riuscì la mia nuova compra, poichè mi misi d’allora in poi in casa per sempre que’ sei luminari della lingua nostra, in cui tutto c’è: dico Dante, Petrarca, Ariosto, Tasso, Boccaccio, e Machiavelli; e di cui (pur troppo per mia disgrazia e vergogna) io era giunto all’età di circa ventidue anni senza averne punto mai letto, toltone alcuni squarci dell’Ariosto nella mia prima