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note dell’autore che servon di risposta | 233 |
Ho voluto donare i rimorsi di Timoleone al secolo in cui scrivo, e all’animo dei moderni spettatori; i quali per lo piú nulla di patria sapendo, non potrebbero tollerare un fratello uccisore dell’altro, il quale poi con Stoica insensibilitá o fermezza, di un tal fatto parlasse, anche brevissimamente. In oltre l’effetto teatrale sarebbe diminuito moltissimo da un tale Stoicismo; assai diversi essendo, e dovendo essere, gli eroi nella storia, e nell’azione tragica, in cui sempre bisogna servire all’effetto per quanto si può. Il Timoleone mio è concepito amator della patria in primo luogo, e del fratello in secondo; dall’amarlo, riesce in lui piú magnanimo lo sforzo dell’ucciderlo; ma uscirebbe dal suo carattere, se ucciso, non lo piangesse. Timoleone in quel punto non si mostra giá a Corinto; è l’eroe in casa. Io son certo, che anche il gran Bruto avrá pianto amarissimamente colla madre e l’amico quegli stessi suoi figli, per cui in pubblico dicesi che né una lagrima pure versasse.
MEROPE
A me, pare che Polifonte, nel dire a Merope; che, se ella gli perdona, potrá forse rendere cosí piú grato il di lui giogo ai Messenj, confessando con quella apparente ingenuitá una cosa che a Merope giá è nota, piú tosto la possa piegare, che alienarla da se; essendo particolaritá del cuore umano, che una certa schiettezza vaglia a guadagnarlo, piú assai che una continua dissimulazione; e trattandosi di cosa chiara e saputa, il negarla, o il volerla sotto pretesti non verisimili colorire, sommamente indispone. Polifonte non ha nascosto a Merope, che v’è l’interesse d’amendue nel conchiudere le loro nozze; e non ragionandole come amante, ma come politico, dee mostrare di dirle il vero, per quanto il può combinare coll’arte e coi fini suoi. Forse ch’io sbaglio, ma espressamente glie l’ho fatto dire, per sedurla con quell’apparente franchezza, concedendole una veritá nota e innegabile, per poi poterne dissimulare e nascondere mill’altre men sapute e men chiare.