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lettera dell’abate cesarotti 225


scoprire se il figlio di Merope sia vivo. La bella pittura, che fa Merope della strage fatta della famiglia di Cresfonte è insieme patetica e artifiziosa; giacché la passione, che spira, serve di velo felicissimo alla sua menzogna. Finissima è la riflessione di Polifonte: Che Merope dee sperar qualche cosa, poiché ella pur vive; e piú sottile ancora il fingere di dir ciò, solo per convincerla che ella non dee ricusare il trono, poiché brama e spera uno stato migliore.

Solo non vorrei, che Polifonte avesse detto, che Merope, Mostrando di perdonargli, avrebbe reso il suo giogo piú grato ai Messenj. È questo un trarsi la maschera, e mostrare ch’egli fa tutto per interesse e timore. Ciò genera, contro il suo fine, diffidenza delle sue intenzioni sopra il figlio, e invita Merope al rifiuto. Questo tratto dovea omettersi, o esprimersi in altro modo (8).

È insigne nel II atto, scena II, la narrazione d’Egisto: ella spira candore, ed è piena d’evidenza, di rapiditá, e d’interesse.

Nella scena seguente sono bellissimi i tratti di Merope, che vorrebbe nascondere la sua interna sollecitudine, e i cenni di Polifonte: Ma tu bramosa, e sollecita tanto? onde? — Che parli? Io sollecita? — Parmi.

La scena fra Egisto e Merope è sparsa di tratti caratteristici e interessanti. La fluttuazione di Merope, l’ansietá nelle domande, gli equivoci sul nome del padre, l’arrestarsi ad ogni circostanza, dipingono al vivo lo stato del cor materno. Impareggiabile è l’esclamazione in cui prorompe, quando sente che l’ucciso era inseguito e pieno di sospetto: Barbaro, e tu l’hai morto? e i trasporti in cui scoppia, all’udire che l’ucciso domandava la madre.

Il personaggio di Polidoro introdotto in questa tragedia vi fa un effetto diverso da quello dell’altre, e confluisce alla sorpresa in un modo inaspettato. Egli solo potrebbe sincerar Merope, ed egli appunto serve a confermarla nel suo inganno. L’invenzione è felicissima, e fa molto onore al poeta. Il fermaglio di Cresfonte trovato nel sangue non lascia dubitare che egli non sia ucciso. Potrebbe solo piú d’uno trovar imprudente, e perciò poco naturale, che Polidoro desse un arnese cosí geloso a un giovinetto inesperto, e ignaro del mistero. La gemma del Maffei può confondersi con molte altre: ma l’insegna d’Alcide è un indizio non equivoco della famiglia regale. Ella non dovea confidarglisi, che nell’atto di palesargli la sua origine, e di prepararlo alla vendetta (9).

V. Alfieri, Tragedie - II. 15