Otto mesi nel Gran Ciacco/Parte prima/VII

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VII

CARATTERI ESTERNI DEI MATTACCHI E DI ALTRI INDIANI



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ra Toba e i Mattacchi sono notevoli le differenze nelle proporzioni. In generale il Mattacco è quasi un mezzo palmo più basso del Toba, senza però essere un uomo piccolo rispetto a noi; ha amplissimo il petto, collo di toro, ben pronunziati i muscoli; è tarchiato, il capo è grosso, la faccia è ampia con l’arco dei pomelli molto pronunziato, e così l’arco del ferro di cavallo della dentatura. Mi sforzavo di carpire su quei musi un angolo faciale acuto acuto e una fronte stiacciata stiacciata, per classificarmeli addirittura tra le stirpi inferiori, ma francamente non ci arrivai.

Hanno però la mascella inferiore lunga e molto inclinata, ed hanno la fronte raramente spaziosa, ma il più delle volte è accorciata apparentemente dai capelli incolti. Piedi giusti; mani piccole, ben formate e mirabilmente attaccate, specie nelle donne; barba pochissima, radissima e rasata. Dei trentadue denti, i canini mi son parsi in generale poco pronunziati, e si spiegherebbe con l’uso di mangiare pesce e frutta e pochissima o punta carne; non mancano però eccezioni: i denti son belli e intatti nei giovani; ne mancano o sono lo[p. 58 modifica]gori e brutti spesso nei vecchi; lo smalto però di cotesti denti non mi è parso come quello dei nostri; ha un bianco d’osso, invece che d’avorio, e quasi li crederei meno resistenti. Le gengive hanno un rosso smorto e così i labbri. Dipende dall’alimento? essi non mangiano sale perchè non ne hanno, benchè loro piaccia e lo lecchino come lo zucchero dandogliene. I labbri inoltre sono turgidi, alquanto prominenti e un poco rovesciati. Gli occhi sono in quasi tutti leggermente obliqui, con la punta inferiore verso il naso, a mandorla, ma ve ne sono anche dei bei rotondi e orizzontali: questi son neri ritinti, col bianco che pare quasi abbia avuto qualche goccia di turchino, mentre negli obliqui mi è parso che si trovi assai volte nel bianco un verdognolo come di fiele, soprattutto negli uomini anziani. Il naso largo diritto e basso, con le narici pur basse e di notevole espansione, ma non è stiacciato. Anzi questo del naso stiacciato è uno dei loro più seri timori, fino al punto che non mangiano la carne di pecora perchè dicono che glielo farebbe venire in quel modo. Accortezza dei loro medici e stregoni, che per impedire lo sperpero delle poche pecore che hanno, e con esse della poca lana che tessono e che è lor tanto utile, hanno inventato questa pietosa bugiarderia, che si somiglia a tante di quelle dette dalle nostre religioni di verità! Tanto sono simili gli uomini in tutto il mondo e in tutte le epoche negli artifizi e nella presunzione! I capelli sono lisci crinosi, ma in alcuni pochissimi individui li ho visti anche un poco ondulati, quasi ricciuti, non so se per artifizio o per natura, ed ho notato qualche calvizie incipiente. Sono neri morati negli adulti, bianchi nei vecchi, ma rare volte; per mancanza, suppongo, di uomini di lunga età; rossicci spesso nei ragazzi fino ai 10 o ai 12 anni; cosa curiosa e che fa pensare alla teoria di De Salles, secondo il quale l’uomo primitivo avrebbe avuto i capelli rossi. Qui avremmo un caso di atavismo. Li portano lunghi e arruffati, ma se li tagliano per un anno quando sono [p. 59 modifica]di lutto. Nondimeno ambirebbero pettinarsi, specialmente le donne. Mi rammento d’una volta che desideravo molto di fare acquisto d’una vanga fatta di legno-ferro in forma di doppio remo con le pale a punta acuta e strette; l’aveva un Indiano, mio amico, che aveva una moglie proprio belloccia: gli offrii un pettine per quella doppia pala, ma dopo averci pensato su, l’Indiano non ne volle far niente, con grande rincrescimento mi parve della moglie, che però si prevalse delle carezze e dell’affetto, che inspirava al marito, per determinarlo a venire il giorno dopo spontaneamente a propormi il cambio. Al lettore forse gli sarebbe piaciuta un po’ più di larghezza per mia parte, ma pensi che regalando il pettine non avrei poi avuto più modo di aver la pala, che m’interessava più della adamitica coppia indiana.

Quello che ho detto dei Mattacchi si dica dei Toba, con più l’altezza maggiore e una fronte in generale più scoperta, non so se più ampia, per l’uso di cingersi i capelli con una fascia, e si dica dei Ciulupi e dei Mocoviti, che tutti insieme son gli Indiani che abitano il Gran Ciacco Argentino, a Nord del quale abitano poi nel Ciacco Boliviano i Ciriguani e i Cirionossi.

Di tutti questi Indiani, il colore cambia da quello di rame nuovo a quello di fango, con a volte alcune chiazzature come di negro. I Ciriguani però hanno un colore più chiaro e che tira, mi è parso, alla lontana al bronzo; questi parlano il guarany come nel Paraguay, nel Correntino e in parte del Brasile, e vivono sulla frontiera boliviana, parte ridotti in missioni e parte nomadi, ed erano confinanti col già Impero degli Inca, come ce lo dice Garcilasso de la Vega e come ce lo avrebbe detto una particolarità che vi vo’ dire prima che me ne scordi. I Guarany, e tutti questi Indiani del Ciacco, non contavano e non contano che fino a 5: al contrario i Chicciua, gli Aimarà e tutti i popoli dell’Impero Inca contano indefinitamente, come noi, con un magistero semplicissimo e bello. [p. 60 modifica]Or bene, i Ciriguani, benchè parlino il guarany, contano anch’ essi indefinitamente. È chiaro che lo appresero nel contatto con i popoli Peruani. Nè si può dire che l’abbiano appreso dai missionari, perchè allora lo avrebbero imparato anche i Paraguaiani, i quali sappiamo essere stati addottrinati fin dal bel principio ed aver costituito missioni, ormai famose e che furono distrutte dai Governi Cristiani. Del resto però è da ritenersi, che lungo il Pacifico si sapeva contare indefinitamente, e così dai Cileni, la valorosa stirpe che tutti sanno e che pare siensi estesi per tutto il Chili, trapassando inoltre la Cordigliera e occupando la Patagonia e parte della Pampa di Buenos Ayres. Se dovessimo giudicarlo dai nomi delle indiade patagoniche, di cui secondo me in cileno Pehuen-ches vuol dire Indiani delle pinete; Motu-ches Indiani del mol, da mol che è un foraggio; Pilma-ches Indiani del pilma, probabilmente da un giuoco alla pillotta detto pilma; Carhué luogo fortificato, Leufucó acqua di fiume ecc. si proverebbe quanto sopra abbiamo detto. Ma però possono essere anche i nomi, una parte, con i quali tali popoli fossero designati dai loro vicini Cileni, senza per questo essere della medesima stirpe, come abbiamo visto del nome Toba che sarebbe guarany, e come parrebbe del nome Ciriguani, a cui io darei l’etimologia chicciua di uomini-delfreddo, da ciri freddo e guaina uomo e più propriamente ragazzo e giovanotto, come si usa fra i soldati e in famiglia, essendo infatti vero che rispetto al Perù detti popoli restano nelle regioni più fredde, o meno calde. L’idioma cileno sembra abbia dei tratti di consanguineità col chicciua e coll’aimará.

M’accorgo che vado a sbalzi: ma il lettore, se qualcuno ne ho, mi scuserà. Sono obbligato a scrivere nei ritagli di tempo che mi concede la professione, coll’incertezza di se domani potrò, quindi uno studio metodico non posso farlo, ma piglio quello che la memoria e la circostanza mi suggeriscono.

Dei Ciriguani vo’ dire ancora, che si distinguono nei costumi per l’uso di portare al labbro inferiore un cilindretto d’ar[p. 61 modifica]gento di 10 a 15 millimetri di diametro, che trapassa di dentro in fuori tutto il labbro, da cui non può uscire per due alette che porta il cilindro alla estremità interna, mentre la faccia esterna è punterellata come un sigillo: il portarlo è segno già di pubertà; fa pena vedere il labbro forato quando tolgono cotesto cilindro. Tal uso, se la memoria non mi inganna, lo tenevano anche i Cianca, Indiani che vivevano nella Bolivia presso, mi pare, il lago di Titi-caca (rupe di piombo). La identità di un costume così strano legittimerebbe la supposizione che i Cianca e i Ciriguani, come i Guarany, fossero molto parenti fra loro. Tal uso è negli uomini: le donne portano una cappa bianca, che chiamano tipoy, che dal collo scende fino ai piedi, ampia e tagliata tutta dinanzi come un accappatoio. È Arago, se non sbaglio, che ci fa sapere che in Thaiti chiamasi tiputa l’abito in forma di poncho portato dai nativi. L’analogia della parola e dell’uso e dell’oggetto che essa esprime, non lascia di fare impressione.

Mi piace porre in rilievo certe analogie, perchè volgarmente si crede e si dice che ogni tribù ha una lingua, e per spiegar ciò si ricorre alle foreste impenetrabili, ai fiumi inattraversabili, alle montagne invarcabili. Io invece sfido are regioni più facili a comunicarsi tra loro quanto queste, dove si cammina centinaia e migliaia di leghe in pianura senza boschi, o con boschi, dove si può praticare un milione di sentieri anche nelle regioni tropicali, dove gli Indiani nuotano come pesci e sono per l’acqua come animali anfibi; dove le montagne sono imponenti, ma poche, e la maggior parte in latitudini, sotto le quali si hanno città popolose là ove in Europa già vi sono le nevi eterne. La verità è che ciascuna lingua è parlata in vasti territori molte volte non divisi tra loro da nessuna accidentalità geografica, e che più lingue si raggruppano facilmente sotto una gran famiglia estesa a sua volta per immense regioni. Io penso che se nel Chili, nel Perù, in Bolivia, nella Repubblica Argentina e in parte almeno del [p. 62 modifica]Brasile vale a dire nella parte meridionale del Continente americano, sono due le grandi famiglie di lingue, le quali, distinte come sono secondo i due idiomi più conosciuti, sarebbero la chicciua lungo il Pacifico, la guarany nella conca del Plata.

Scusate due altre parole: dei Cirionossi si dice che sono biondi, selvaggissimi, occhi celesti, trogloditi o abitanti nelle caverne; le donne col piede storto apposta all’indentro per tapparsi quando siedono, stando sempre nudi esse e gli uomini. Io non gli ho visti, ma tutti l’affermano: sarà come l’araba fenice il biondo-ceruleo di cotesti Indiani, e il piede storto Figuratevi che un Ciriguano, che asseriva averli visti e battagliato con loro, mi diceva che essi hanno i ginocchi volti all’indietro come gli struzzi! ripeto letteralmente la sua espressione. O fidatevi!