Operette morali/Proposta di premi fatta dall'Accademia dei Sillografi
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L’Accademia dei Sillografi attendendo di continuo, secondo il suo principale instituto, a procurare con ogni suo sforzo l’utilità comune, e stimando niuna cosa essere più conforme a questo proposito che aiutare e promuovere gli andamenti e le inclinazioni
Del fortunato secolo in cui siamo,
L’intento della prima sarà di fare le parti e la persona di un amico, il quale non biasimi e non motteggi l’amico assente; non lasci di sostenerlo quando l’oda riprendere o porre in giuoco; non anteponga la fama di acuto e di mordace, e l’ottenere il riso degli uomini, al debito dell’amicizia; non divulghi, o per altro effetto o per aver materia da favellare o da ostentarsi, il segreto commessogli; non si prevalga della familiarità e della confidenza dell’amico a soppiantarlo e soprammontarlo più facilmente; non porti invidia ai vantaggi di quello; abbia cura del suo bene e di ovviare o di riparare a’ suoi danni, e sia pronto alle sue domande e a’ suoi bisogni, altrimenti che in parole. Circa le altre cose nel comporre questo automato si avrà l’occhio ai trattati di Cicerone e della Marchesa di Lambert sopra l’amicizia. L’Accademia pensa che l’invenzione di questa così fatta macchina non debba essere giudicata né impossibile, né anche oltre modo difficile, atteso che, lasciando da parte gli automati del Regiomontano, del Vaucanson e di altri, e quello che in Londra disegnava figure e ritratti, e scriveva quanto gli era dettato da chiunque si fosse; più d’una macchina si e veduta che giocava agli scacchi per sé medesima. Ora a giudizio di molti savi, la vita umana è un giuoco, ed alcuni affermano che ella è cosa ancora più lieve, e che tra le altre, la forma del giuoco degli scacchi è più secondo ragione, e i casi più prudentemente ordinati che non sono quelli di essa vita. La quale oltre a ciò, per detto di Pindaro, non essendo cosa di più sostanza che un sogno di un’ombra, ben debbe esserne capace la veglia di un automato. Quanto alla favella, pare che non si possa volgere in dubbio che gli uomini abbiano facoltà di comunicarla alle macchine che essi formano, conoscendosi questa cosa da vari esempi, e in particolare da ciò che si legge della statua di Mennone e della testa fabbricata da Alberto magno, la quale era sì loquace, che perciò san Tommaso di Aquino, venutagli in odio, la ruppe. E se il pappagallo di Nevers,1 con tutto che fosse una bestiolina, sapeva rispondere e favellare a proposito, quanto maggiormente è da credere che possa fare questi medesimi effetti una macchina immaginata dalla mente dell’uomo e construtta dalle sue mani; la quale già non debbe essere così linguacciuta come il pappagallo di Nevers ed altri simili che si veggono e odono tutto giorno, né come la testa fatta da Alberto Magno, non le convenendo infastidire l’amico e muoverlo a fracassarla. L’inventore di questa macchina riporterà in premio una medaglia d’oro di quattrocento zecchini di peso, la quale da una banda rappresenterà le immagini di Pilade e di Oreste, dall’altra il nome del premiato col titolo: PRIMO VERIFICATORE DELLE FAVOLE ANTICHE.
La seconda macchina vuol essere un uomo artificiale a vapore, atto e ordinato a fare opere virtuose e magnanime. L’Accademia reputa che i vapori, poiché altro mezzo non pare che vi si trovi, debbano essere di profitto a infervorare un semovente e indirizzarlo agli esercizi della virtù e della gloria. Quegli che intraprenderà di fare questa macchina, vegga i poemi e i romanzi, secondo i quali si dovrà governare circa le qualità e le operazioni che si richieggono a questo automato. Il premio sarà una medaglia d’oro di quattrocento cinquanta zecchini di peso, stampatavi in sul ritto qualche immaginazione significativa della età d’oro e in sul rovescio il nome dell’inventore della macchina con questo titolo ricavato dalla quarta egloga di Virgilio: QVO FERREA PRIMVM DESINET AC TOTO SVRGET GENS AVREA MVNDO.
La terza macchina debbe essere disposta a fare gli uffici di una donna conforme a quella immaginata, parte dal conte Baldassar Castiglione, il quale descrisse il suo concetto nel libro del Cortegiano, parte da altri, i quali ne ragionarono in vari scritti che si troveranno senza fatica, e si avranno a consultare e seguire, come eziandio quello del Conte. Né anche l’invenzione di questa macchina dovrà parere impossibile agli uomini dei nostri tempi, quando pensino che Pigmalione in tempi antichissimi ed alieni dalle scienze si poté fabbricare la sposa colle proprie mani, la quale si tiene che fosse la miglior donna che sia stata insino al presente. Assegnasi all’autore di questa macchina una medaglia d’oro in peso di cinquecento zecchini, in sulla quale sarà figurata da una faccia l’araba fenice del Metastasio posata sopra una pianta di specie europea, dall’altra parte sarà scritto il nome del premiato col titolo: INVENTORE DELLE DONNE FEDELI E DELLA FELICITÀ CONIUGALE.
L’Accademia ha decretato che alle spese che occorreranno per questi premi, suppliscasi con quanto fu ritrovato nella sacchetta di Diogene, stato segretario di essa Accademia, o con uno dei tre asini d’oro che furono di tre Accademici sillografi, cioè a dire di Apuleio, del Firenzuola e del Macchiavelli; tutte le quali robe pervennero ai Sillografi per testamento dei suddetti, come si legge nella storia dell’Accademia.