Opere volgari (Alberti)/Appendice (volume III)

Appendice (volume III)

../Nota sul testo (volume III)/Lettere ../Indici (volume III) IncludiIntestazione 16 maggio 2021 75% Da definire

Nota sul testo (volume III) - Lettere Indici (volume III)
[p. 429 modifica]

APPENDICE

Nota su alcune opere già attribuite all’Alberti ed ora escluse da questa edizione

Il Bonucci incluse nella sua edizione delle Opere volgari di L. B . Alberti alcune opere che per varie ragioni non abbiamo accolto nella nostra. Le elenchiamo qui, insieme con qualche altra, con una breve indicazione dei motivi per cui le abbiamo escluse.


1. Della prospettiva (Op. volg., IV, pp. 91-94), tolto dal cod. Ricc. 2110 (cfr. sopra a p. 353). Che l’Alberti abbia scritto un trattato sulla prospettiva sembra molto probabile (vedi le testimonianze raccolte dal Mancini, Vita cit., pp. 130-31), ma che non possa essere quello contenuto nel cod. Ricc. 2110 è stato pienamente dimostrato da A. Farronchi, Le fonti di Paolo Uccello, in «Paragone» (Arte), n. 95, nov. 1957, pp. 4 sgg.


2. Della Statua (Op. volg., IV, pp. 159-86). Il testo latino del De statua dell’Alberti si trova in molti codici, ma non esiste nessun manoscritto di una redazione volgare dell’opera. La versione volgare che figura negli Opuscoli Morali dell’Alberti curati da Cosimo Bartoli, Venezia, 1568, venne accolta dal Bonucci come opera dell’Alberti malgrado qualche riserva intorno alla lingua che gli pareva essere stata ritoccata dal Bartoli. La fiducia del Bonucci pare infondata. Non abbiamo nessuna indicazione né prova della preparazione di una versione volgare di quest’opera da parte dell’Alberti, e ragione consiglia di procedere con molta cautela nei riguardi del Bartoli, che non conobbe, per esempio, la redazione volgare del De pictura fatta dall’autore, e ne pubblicò invece una traduzione sua. Sul De statua vedi l’articolo di A. Parronchi in «Paragone» (Arte), n. 117, sett. 1959, pp. 3-29, e, per una più [p. 430 modifica]ampia discussione del problema dell’attribuzione, G. Flaccavento, Per una moderna traduzione del «De Statua» di L. B. Alberti, in «Cronache di archeologia e storia dell’arte», I, 1962, pp. 50-59 (cfr. anche l’Introduzione alla nostra edizione e traduzione inglese del De pictura e del De statua, Londra, Phaidon Press, 1972, pp. 5-7, 18-26, e l’articolo della Simonelli cit. sopra a p. 306).


3. Dell’Arte Edificatoria (Op. volg., IV, pp. 189-371), tolto dal cod. Ricc. 2520, dal Bonucci creduto il primo getto autografo in volgare del magnum opus albertiano, voltato poi in latino. Si tratta effettivamente di un volgarizzamento incompiuto dei primi tre libri del De re aedificatoria eseguito da un ignoto traduttore. La mano, che è del tardo ’400 o dei primi anni del ’500, non è quella dell’Alberti. Il testo è pieno di correzioni e ripentimenti sincroni, prova della fatica durata dal traduttore per rendere efficacemente in volgare l’originale testo latino. La traduzione fu basata con ogni probabilità sull’editio princeps del De re aedificatoria (Firenze, 1485), da cui non pare differire in nessun modo. Cfr. G. Mancini, Vita cit., p . 132, n. 2.


4. I Cinque Ordini Architettonici (Op. volg., IV, pp. 377-87), dal cod. Chig. VII . 149 della Biblioteca Vaticana, il quale contiene la Descriptio Urbis Romae attribuita all’Alberti (cc. 3-8), un breve trattato, adespoto e anepigrafo, sui cinque ordini architettonici (cc. 13-18), e un «trattato de’ pondi, e lieve di alcuna rota», incompleto e anche esso adespoto e anepigrafo (cc. 19-43; vedi qui sotto al n. 5). Il cod. non contiene i Ludi matematici dell’Alberti, come asseriva il Mancini, Vita cit., p. 287. L’attribuzione del trattatello architettonico all’Alberti poggia in parte sul carattere del suo contenuto, ma soprattutto sulla sua presenza in questo codice insieme con un’opera, la Descriptio Urbis Romae, che è sicuramente dell’Alberti. Dopo il Bonucci il trattato è stato ristampato come opera dell’Alberti dal Janitschek e dal Papini (edd. citt. sopra a p. 301), e accettato tra le opere albertiane dal Mancini (Vita cit., p. 341, n. 4) e dal Michel (op. cit., p. 475, n. r). Sia o no il cod. Chig. copia eseguita da Cosimo Bartoli, come pensava il Mancini (op. cit., p. 287), esso non ci offre alcun motivo per l’attribuzione all’Alberti di questo trattatello. Non basta come prova la convivenza con la Descriptio Urbis Romae, proprio come non basta per attribuirgli il trattato sulla prospettiva (v. sopra n. 1) la presenza dei Ludi matematici nel Ricc. 2110 (esso pure, secondo il Mancini, loc. cit., copiato dal Bartoli). Contro l’attribuzione all’Alberti stanno le [p. 431 modifica]differenze, già notate da altri (cfr. Mancini in Vasari, Vite cinque, cit. infra, p. 113, n. 1), tra questo trattato e la descrizione particolareggiata dei vari ordini data nel De re aed., lib. VII, cap. vi-viii. In mancanza, dunque, di più sicuri indizi della paternità del trattato, non esitiamo ad escluderlo dal presente corpus delle opere volgari dell’Alberti.


5. Trattato dei Pondi, Leve e Tirari, pubblicato come «forse dell’Alberti» da G. Mancini in appendice alla sua ed. di G. Vasari, Vite cinque', Firenze, 1917, pp. 105 sgg.; per cui egli adoperò, non il cod. Chigiano cit. sopra, ma altri due manoscritti (Laur. Ashb. 361; Saluzziano 148), dove l’opera figura completa, ma priva sempre del nome dell’autore. È molto probabile che l’Alberti abbia effettivamente composto un trattato su questa materia (cfr. gli accenni nei Profugiorum ab aerumna libri, a p. 182 del vol. II, e nel De re aed., lib. VI, cap. viii; e vedi Mancini, ed. cit., pp. 114-16), ma è molto dubbio che quello contenuto in questi tre codd. sia lavoro dell’Alberti. La lingua e lo stile di esso sono troppo lontani dal modo di scrivere suo, e non è sufficiente per sostenere questa grave obiezione la sola presenza del trattato nel cod. Chig. VII, 149 dietro la Descriptio Urbis Romae albertiana e l’opuscolo sui cinque ordini già discusso sopra. Pare anzi, secondo il Mancini, ed. cit., p . 106, che il testo in questo cod. sia una copia (incompiuta) esemplata sul cod. Saluzziano, in cui, come abbiàmo già accennato, il trattato non porta nessuna attribuzione1.


6. Amiria - Efebie (Op. volg., V, 269-94; 297-321). Questi opuscoli si possono considerare insieme, perché vanno attribuiti tutti e due a Carlo Alberti, fratello di Battista. L’Amiria figura in un cod. solo, il cod. II. IV . 38 (F1) più volte citato, della Bibl. Naz. di Firenze, dove è intitolata Amiria Caroli Alberti e preceduta da una lettera di Carlo indirizzata a P. Codagnello e Roberto de’ Pepoli, in cui l’autore dichiara di aver tentato in quest’opera di imitare «quanto potea lo stile e modo di messer Battista mio fratello». Le ragioni addotte dal Bonucci per rovesciare la chiara attribuzione dell’unico e autorevole cod. vennero già impugnate dal Mancini (Vita cit., p. 59) e P. H . Michel (op. cit., p. 39) giustamente pone l’Amiria tra le opere apocrife dell’A. Meno [p. 432 modifica]chiara la situazione dell’Efebie. Nella Vita anonima dell’Alberti (R. I. S., vol. XXV, e Bonucci, op. Volg. I, pp. lxxxix sgg.), dal Bonucci creduta autobiografia, si legge (Bonucci, p. xciv): «Scripsitque per ea tempora animi gratia complurima opuscula: Ephebiam, de Religione, Deiphiram ... " . Ma i due codd. che contengono l’Efebie le danno a Carlo Alberti: il Ricc. 2608, cc. 2a-20b (Ephebie Karoli A!berti), e il Laur. Red. 54, cc. 2a-21b (manca il titolo, ma la dedicatoria comincia: «Karolus Albertus Francisco Alberto salutem ...», e in fondo .si legge «Explicunt disceptationes Karoli Alberti ...»). Pure Battista le attribuisce al fratello, quando nel suo De commodis litterarum atque incommodis (ed. curata da G. Farris, Milano, 1971, p. 46) dedicato a Carlo, adopera la frase:«ut tuo in Ephebis utar dicto». Il Mancini, mentre inclinava alla tesi del Bonucci sulla biografia anonima (Vita cit., p. 82), confutò la sua attribuzione dell’Efebie a Battista (p. 59); ma sapendo, come ai suoi tempi non poteva sapere il Bonucci, che l’Efebie non erano altro che una libera versione dell’intercenale Amator (Mancini, op. ined. cit., pp. 1-18), egli riconobbe nell’attribuzione del Bonucci una parte del vero: «Il Bonucci pubblicò l’Efebie, e in questa occasione non s’ingannò del tutto congetturandole fattura di Battista, poiché il solo abbigliamento appartiene al fratello Carlo» (Vita, p. 59). P. H . Miche! fraintese la posizione del Mancini, e nella sua bibliografia dell’Alberti (op. cit., p. 15) attribui l’Efebie volgari a Battista: «L’Ephébie a été restituée a L. B. A . par Bonucci dont l’opinion est confermée par celle de Mancini (Vita Alb. 59)».

Il problema investe l’autorità della Vita anonima, che rimane l’unica fonte dell’attribuzione a Battista. La difficoltà si può scansare vedendo nell’Ephebia ivi citata, la redazione latina a noi nota sotto il titolo Amator, e non la redazione volgare: confusione che forse poteva nascere nella mente di un altro anziché nella mente dell’Alberti stesso.


7. Concioni (Op. volg. I, xl-xlviii, V, 337-45). Sono di Stefano Porcari o di Buonaccorso da Montemagno (v. Prose di B. da M., a cura di G. B. Giuliari, Bologna, 1874; e cfr. V . Rossi, Il Quattrocento, Milano, 1945, p. 151 e 166, n. 47). L’equivoco è nato dal fatto che l’Alberti si interessò del caso Porcari e ne scrisse pure una De porcaria coniuratione (Op. ined. cit., pp. 257-66), e che il Bonucci (come pure il Muratori) lesse nella vita anonima che l’Alberti compose «conciones» (I, p. xciv), dove avrebbe dovuto leggere invece «cantiones» (cfr. «Ital. Studies», XII, 1956, p. 16, n. 1). [p. 433 modifica]


8. Lettere amatorie (Op. volg., III, pp. 411-17, e IV, pp. 325-33). Il Bonucci pubblicò quattro lettere, di cui forse una (la prima) potrebbe essere dell’Alberti. Su questa vedi sopra a pp. 390, e cfr. il nostro art. cit. Four love-letters attributed to Alberti, pp. 30 sgg.


A questo elenco vanno aggiunte le false attribuzioni già discusse altrove nelle note a questa nostra edizione delle opere volgari dell’Alberti: per es., nel vol. I, il Trattato del governo della famiglia; nel vol. II, la traduzione della Dissuasio di Walter Map (pubblicata dal Bonucci come opera dell’Alberti sotto il titolo: Intorno al tor donna), e alcune rime; e nel presente vol. III, la versione in ottava rima della novella di Ippolito e Lionora. (v. p. 411).


Non vorrei licenziare per la stampa le bozze di questo terzo ed ultimo volume delle Opere volgari senza esprimere le mia viva gratitudine all’amico prof. Gianfranco Folena, direttore degli «Scrittori d’Italia», il quale mi ha incoraggiato e aiutato con i suoi consigli a portare a termine questa edizione. Al prof. Carlo Dionisotti, già collega oxoniense, che mi indirizzò e guidò nelle prime ricerche albertiane e mi è stato poi sempre largo del suo tempo e della sua erudizione, rinnovo l’espressione della mia profonda riconoscenza. Né vanno taciuti i miei non pochi debiti attraverso gli anni verso l’amico prof. Raffaele Spongano, a cui sono vivamente grato di molti consigli e favori nella preparazione di testi e nella ricerca di materiale. Una particolare parola di ringraziamento infine a mia moglie, che mi ha validamente sostenuto durante il lungo lavoro, e che ha avuto la pazienza di aiutarmi a collazionare codici e a preparare l’indice d el presente volume.

Natale 1972 C. G.


Note

  1. Per altre osservazioni sui codici qui menzionati, vedi A. Parronchi, Di un manoscritto attribuito a Fr. di Giorgio Martini., negli «Atti dell’Accad. Toscana ‘La Colombaria’», Firenze, XXXI, 1966, pp. 165 sgg.