Opere minori (Ariosto)/Poesie attribuite/Elegia VI
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VI.1
Or che la terra di bei fiori è piena,
E che gli augelli van cantando a volo,
3Il mar s’acquêta e l’aria s’asserena;
Io, miser! piango in questi boschi solo,
E notte e giorno e dal mattino a sera,
6E la mia vita pasco sol di duolo.
Per me non è nè mai fu primavera,
Ma nebbia, pioggia, pianto, ira e dolore,
9Dopo ch’io ’ntrai nell’amorosa schiera.
Non so se palesar ancor l’ardore
Debba, o tenerlo pur nel petto ascoso,
12Per non far crescer sdegno al mio signore:
Ma già drento e di fuor ha tanto roso
La fiamma, che tutt’ardo, e più non posso
15Trovar al mio languir pace o riposo.
Più non ho sangue in vena, e meno in osso
Midolla2 alcuna, nè color in volto:
18Tanto fortuna e ’l ciel m’hanno percosso!
Però col mio parlar a voi mi vôlto,
Fiori, erbe, fronde, selve, boschi e sassi,
21Poich’ogni altro auditor Amor m’ha tolto.
Voi testimonî sête quanti passi
Errando feci in queste vostre rive
24Coi piedi stanchi, tormentati e lassi.
Fiumi, torrenti, e voi fontane vive,
Sapete le mie pene, stenti e guai,
27E quant’umor dagli occhi miei derive.
E tu, soave vento, che ne vai
Per queste fronde, sai quanti sospiri
30E quanti gridi verso il ciel mandai.
Fera non è che quivi intorno giri,
Che non sappia ’l mio stato e l’esser mio,
33L’angustie, le fatiche e gli martirî.
O cieli, o fato, o destin aspro e rio
Sotto cui nacqui! o dispietata stella,
36Com’ognor sei contraria al mio desio!
O fortuna perversa, iniqua e fella!
O Amor crudel e d’ogni mal radice,
39Ben stolto è chi dà orecchie a tua favella!
Tu dimostrasti farmi il più felice
Che mai si ritrovasse tra gli amanti,
42Per farmi poi ’n un punto il più infelice.
Non son nel regno tuo perle o diamanti
Che non sian pieni di pungenti spine,
45Date per premio di sospiri e pianti.
Qual lingua potría dir mai le ruine
Che per te già son state, e quante gente3
48Per tua cagion son giunte a miser fine?
Per te si ritrovò Troja dolente;
Per te cangiòssi Dafne in verde alloro,
51De la cui doglia ancor Febo ne sente;
Per te Piramo e Tisbe sotto ’l moro
Con le sue proprie man si dier la morte;
54Per te Pasife si congiunse al toro;
Per te Dido costante, ardita e forte
Passòssi ’l petto nel partir di Enea;
57Per te Leandro giunse a trista sorte;
Per te la cruda e rigida Medea
Occise il suo fratel, ed altri mille
60Per te sentirno pena acerba e rea.
Non escon d’Etna fuor tante faville,
Quanti son morti per tuo mal governo,
63Nè dà tant’erbe aprile a prati e ville.
Il tuo non è già regno, ma uno inferno,
Ove sempre si piange e si sospira,
66Ove si vive con affanno eterno.
Non ti maravigliar se son pien d’ira,
S’io mi lamento, signor impio e crudo,
69Ch’a dirti ’l ver ragion mi sforza e tira.
Tu mi legasti a un arbor verde e nudo,
Ch’in sè non avea ancor vigor nè possa;
72Al qual fui per difesa sempre scudo,
A ciò non fosse sua radice mossa
Per freddo o caldo,4 per tempesta o vento,
75O da folgor del ciel fiaccata scossa.
Sempre vi stava con ogni arte intento,
Con ogni ingegno e forza lo nutriva,
78E del suo frutto mi tenea contento:
Ma poi ch’e’ crebbe5 e ’n sino al ciel fioriva,
E che del frutto avea qualche speranza,
81Altri l’accolse,6 e fu mia mente priva.
Quest’è il costume tuo, quest’è l’usanza,
Fallace Amor: però in pianto destino
84Fornir il breve tempo che m’avanza,
E per il mondo andar qual peregrino,
Maledicendo te del mal ch’io porto,
87Fin che morte interrompa il mio cammino.
E s’alcun mai trovasse ’l corpo morto,
Prego ciascun che ’l lassi sopra terra,
90Chè, poi che ’n vita fui senza conforto,
Dopo morto con fere abbi ancor guerra.
Note
- ↑ Parve al primo editore di veder qui riunite «le principali doti di questo genere di poesía, che l’Ariosto, potentissimo sempre, trattò con verità di passione, vivezza di colori e quell’aria di risolota franchezza che, singolarmente nel chiudere d’ogni capitolo, si manifesta quasi improvvisa.» Se non che nella vita, palese abbastanza, di messer Lodovico, nulla è che conduca a credere a questo amore, corrivo un po’ troppo e deluso, verso una fanciullina (volendo attenerci alla più benigna interpretazione) che da lui fosse già tutelata e protetta (ver. 70-80); e meno poi al proponimento espresso nel verso 83 e seguenti.
- ↑ Il Codice: medolla. — (Veludo.)
- ↑ Per genti. — (Veludo.)
- ↑ Il Codice: per freddo, caldo.— (Veludo.)
- ↑ Il Codice: ch’el crebbe. — (Veludo.)
- ↑ Così ha il Manoscritto, come nota il sig. Veludo; che fece imprimere la colse, senza badare al necessario accordo con frutto, od anche con arbore, che di sopra è posto nel genere maschile. L’amico indicato nella nota 1 della pag. 447 ricordò opportunamente, che l’Ariosto medesimo, nell’Elegia XV, avea scritto: «Per memoria di quei frutti, Ch’or mi niega d’accôr l’altera pianta.» Vedi sopra, a pag. 242.