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450 elegie.

VI.1


     Or che la terra di bei fiori è piena,
E che gli augelli van cantando a volo,
3Il mar s’acquêta e l’aria s’asserena;
     Io, miser! piango in questi boschi solo,
E notte e giorno e dal mattino a sera,
6E la mia vita pasco sol di duolo.
     Per me non è nè mai fu primavera,
Ma nebbia, pioggia, pianto, ira e dolore,
9Dopo ch’io ’ntrai nell’amorosa schiera.
     Non so se palesar ancor l’ardore
Debba, o tenerlo pur nel petto ascoso,
12Per non far crescer sdegno al mio signore:
     Ma già drento e di fuor ha tanto roso
La fiamma, che tutt’ardo, e più non posso
15Trovar al mio languir pace o riposo.
     Più non ho sangue in vena, e meno in osso
Midolla2 alcuna, nè color in volto:
18Tanto fortuna e ’l ciel m’hanno percosso!
     Però col mio parlar a voi mi vôlto,
Fiori, erbe, fronde, selve, boschi e sassi,
21Poich’ogni altro auditor Amor m’ha tolto.
     Voi testimonî sête quanti passi
Errando feci in queste vostre rive
24Coi piedi stanchi, tormentati e lassi.
     Fiumi, torrenti, e voi fontane vive,
Sapete le mie pene, stenti e guai,
27E quant’umor dagli occhi miei derive.
     E tu, soave vento, che ne vai
Per queste fronde, sai quanti sospiri
30E quanti gridi verso il ciel mandai.


  1. Parve al primo editore di veder qui riunite «le principali doti di questo genere di poesía, che l’Ariosto, potentissimo sempre, trattò con verità di passione, vivezza di colori e quell’aria di risolota franchezza che, singolarmente nel chiudere d’ogni capitolo, si manifesta quasi improvvisa.» Se non che nella vita, palese abbastanza, di messer Lodovico, nulla è che conduca a credere a questo amore, corrivo un po’ troppo e deluso, verso una fanciullina (volendo attenerci alla più benigna interpretazione) che da lui fosse già tutelata e protetta (ver. 70-80); e meno poi al proponimento espresso nel verso 83 e seguenti.
  2. Il Codice: medolla. — (Veludo.)