Opere (Lorenzo de' Medici)/XVII. Rime varie o di dubbia autenticitá/V. Canzoni a ballo/Canzone XII.

XII. [Canzone in morte della Nencia]

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XII. [Canzone in morte della Nencia]
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[Canzone in morte della Nencia]


     Chi ha il core innamorato
venga avale a far lamento
di quel bel giglio ch’è spento,
della Nencia che ha tirato.
     Ella avea cento amadori,
né ci ha alcun che se ne crolli,
né alcun che s’addolori,
o che le gote abbi molli.
Beco dice: — Quand’i’ volli
che la mi guatassi un tratto,
ella mi fece un bell’atto,
la si volse in verso Prato. —
     Ella avea quegli occhi belli,
che ravviluppava ognuno;
ella avea piú uncinelli
che non è punte in un pruno;
non la vedeva nessuno
che non andassi smarrito,
ed appena che ’l marito
gli volessi stare allato.
     E’ gli venne la malía
di quel maladetto male
che si chiama la moría,
che riparo non gli vale:
ella l’ebbe ben cassale,
e cosí il suo Vallera,
che cascò come una pera
dopo a lei, come indozzato.
     L’ha lasciate le bestiuole
tutte fuori alla pastura:

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ognun va dov’ella vuole:
l’oche, i porci èn per la stura,
e i vicini hanno paura
che ’l suo Beco sia perduto,
perché non vi s’è veduto
con le bestie, o solanato.
     Non si canti or piú la Nencia,
poi che l’è morta e finita:
aval piú non si raccencia
quella rosa scolorita;
la sua lana ell’ha fornita
e la stoppa col capecchio,
né lucignol né pennecchio
nulla a far non ha lasciato.
     Or vanne la mia ballata,
va’ ritruova le compagne;
porta lor quest’ambasciata:
di’ che vivin liete e magne,
lascin pur piagner chi piagne,
ed a tutto il lor potere
diensi sollazzo e piacere
con ciascuno innamorato.