Opere (Lorenzo de' Medici)/XVI. Canti carnascialeschi/Canzona VI.

VI. Canzona delle forese.

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VI. Canzona delle forese.
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Canzona delle forese.


     Lasse, in questo carnasciale
noi abbiam, donne, smarriti
tutt’a sei nostri mariti;
e sanz’essi stiam pur male.
     Di Narcetri noi siam tutte,
nostr’arte è l’esser forese;
noi cogliemo certe frutte
belle come dá il paese;
se c’è alcuna sí cortese,
c’insegni i mariti nostri;
questi frutti saran vostri,
che son dolci e non fan male.
     Cetriuoli abbiamo e grossi,
di fuor pur ronchiosi e strani;
paion quasi pien di cossi,
poi sono apritivi e sani;
e’ si piglion con duo mani:
di fuor lieva un po’ di buccia,
apri ben la bocca e succia;
chi s’avezza, e’ non fan male.
     Mellon c’è cogli altri insieme
quanto è una zucca grossa;
noi serbiam questi per seme,
perché assai nascer ne possa.
Fassi lor la lingua rossa,
l’alie e’ piè: e pare un drago
a vederlo e fiero e vago;
fa paura, non fa male.

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     Noi abbiam con noi baccelli
lunghi e teneri da ghiotti;
ed abbiamo ancor di quelli
duri e grossi, e son buon cotti
e da far de’ sermangotti,
se la coda in man tu tieni;
su e giú quel guscio meni;
e’ minaccia e non fa male.
     Queste frutte oggi è usanza
che si mangin drieto a cena:
a noi pare un’ignoranza;
a smaltirle è poi la pena:
quanto la natura è piena
dé’ bastar: pur fate voi
dell’usarle innanzi o poi;
ma dinanzi non fan male.
     Queste frutte, come sono,
se i mariti c’insegnate,
noi ve ne faremo un dono:
noi siam pur di verde etate;
se lor fien persone ingrate,
troverrem qualche altro modo,
che ’l poder non resti sodo:
noi vogliam far carnasciale.