Opere (Caro)/I. Apologia degli academici di Banchi di Roma contra messer Lodovico Castelvetro/Lettera di maestro Pasquino

Lettera di maestro Pasquino

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Lettera di maestro Pasquino
I. Apologia degli academici di Banchi di Roma contra messer Lodovico Castelvetro I. Apologia degli academici di Banchi di Roma contra messer Lodovico Castelvetro - Canzone del Caro in lode della casa di Francia

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LETTERA DI MAESTRO PASQUINO

Messer Lodovico Castelvetro, la vostra censura sopra la canzone del Caro, con molte altre cose che mi sono state riferite de’ fatti vostri, m’hanno fatto conoscere che voi siete d’un genio conforme al mio, percioché dite volentier male, e d’ognuno e sopra ogni cosa: o vero o falso che vi diciate, o lode o biasimo che ve ne torni. Ed oltre all’esser d’una medesima professione, intendo che saremmo anco d’una medesima fattezza: se non ch’io mi truovo avere il capo di marmo, e voi l’avete di vetro. Che io non abbia poi né gambe né braccia, e voi si; che io sia piú svisato e manco nasuto di voi, e voi di piú fronte e piú cigliuto di me: questo non importa, perché sono accidenti che, seguendo il nostro mistiero, possono avenire ancora a voi. Basta per ora che quel tanto, ch’io truovo fin qui di somiglianza tra noi, m’ha giá desto un gran desiderio d’essere amico e corrispondente vostro, e d’aver anco lega con esso voi. E se ve ne contentate, vi prometto che l’uno per l’altro faremo bene i fatti nostri. Perché voi sarete di costá Pasquino per me; ed io sarò di qua Castelvetro per voi. Ed ambedue insieme correremo per nostro questo regno della maledicenza. Il che non si può fare se non ci accozziamo insieme; percioché (per malèdico ch’io sia) non m’arrischio volentieri a volerla con gli scrittori, non avendo altra lingua che la lor penna. Ma, ristrengendomi ora con voi, che siete cosi acerbo nimico loro, e che per tutti loro mi potete servire, m’affido ancora contra d’essi di farmi valere. Dall’altro canto, se voi non vi collegate con me, state fresco, perché l’affronto ch’avete fatto al Caro, v’ha messo alle mani [p. 4 modifica]

una mala gatta a pelare. Non giá per lui (perché egli è piú tosto mucia che gatta), ma per la briga che per suo conto v’avete tirata a dosso, specialmente di Banchi e degli academici suoi, i quali presumono di farvisi tosto conoscer per tali; e minacciano d’esser tanti a venirvi sopra in un tempo, che si credono di farvi anco pentire di stuzzicare i vespai. Ma non lo credo giá io: né dico per questo ch’abbiate fatto male; perché direi contra la mia professione. Ve ne lodo piú tosto, e ve ne tengo valentuomo: e perciò vi sono affezionato io, perché siete odioso e fastidioso agli altri. Ma voglio inferire che l’amicizia mia può essere di giovamento ancora a voi; potendovi prevalere del mio favore in questa cittá, e come di vostro amico, e come d’interessato in questo negozio. Perché Banchi (se noi sapeste) è mio concorrente, ed al Caro porto giá da molto tempo una gran còlerá; perché, in tanti anni ch’io lo conosco, non ha mai voluto darmi tributo delle sue composizioni, come quegli che non si diletta di dir mal d’altri. Mi piace ora che abbia dato in uno che non porti questo rispetto a lui, e che per vostro mezzo mi si presenti occasione di vendicarmi con esso. Si che per l’una parte e per l’altra si fa, che abbiamo questa confederazione insieme. E dal canto mio, per mostrarvi ch’io la desidero, comincio infin da ora a metterla in pratica, facendovi la spia di tutto quel che si dice e che si disegna contra di voi. Ma, prima che vi dica altro, avete a sapere che infino a ora sono stati in dubbio ed in consulta se se ne doveano risentire o no. Allegandosi, per la parte del no, che le cose che voi dite sono leggiere, sono sofistiche, sono ridicole tanto, che ne torna biasimo a voi d’averle dette; e che, pigliandosi affanno di confutarle, s’entra come a faticare per impoverire, s’onorano troppo le vostre inezie, e si fa cosa che il Caro medesimo non se ne cura. Per la parte del si, hanno mostro che questa vostra sofisteria è tale, e la vostra insolenza è si grande, che di troppo pregiudizio sarebbe, l’una agli studi delle buone arti, l’altra alla conservazione della vita civile, se ambedue non si conoscessero, e voi n’andaste del tutto impunito e cosi gonfio come è lor riferito che voi n’andate. Hanno detto che una tale [p. 5 modifica]

impunitá sarebbe un confermar voi nella vostra presunzione d’esser cosi dotto e cosi savio come vi tenete, ed un consentire che siano ignoranti e pazzi gli altri, facendo voi l’archimandrita dell’academie come fate, ed in una cittá nobile, come è Modena, dove nascono tanti boni intelletti, e dove sono tanti studiosi, specialmente di questa lingua: i quali se andassero dietro alla dottrina ed essempio vostro, Dio sa (come essi dicono) quando se ne potesse sperare un’altra volta quel buon Molza e quei Sadoleti e quei Cortesi, che se ne son veduti ai di nostri; i quali hanno portato tanto di splendore alla vostra patria e di giovamento agli studi, con le buone lettere e buoni costumi, quanto essi vogliono che voi col contrario portiate loro d’impedimento e di tenebre. Oltre di questo, sono andati argomentando che quel eh’è bene a’ piú, è maggior bene; e che la vertu che maggiormente giova, è maggior vertu; e però che la giustizia in questo caso deve esser preferita alla pazienza, e la difension della veritá al dispregio delle ciance. Hanno allegato ancora quel precetto della Scrittura, che si deve rispondere al pazzo, non per imitar la sua pazzia, ma perché egli non si presuma d’esser savio. Hanno fatto vedere in molti modi che voi, come un can rabbioso, v’aventate indifferentemente al viso di chiunque vi s’abbatte davanti: raccontando pur assai persone di molto nome e di molta dottrina, che sono state morse e lacerate da voi : e considerando con molta meraviglia che neanco il Caro ne sia potuto scampare. Nel qual pensano che cessi ogni cagione che vi possa aver mosso a volerla con lui. Percioché dall’un canto affermano di non sapere ch’egli dicesse o facesse mai cosa alcuna in danno o biasimo di persona: e quanto a quel che tocca a voi, che non ebbe mai pur una minima notizia de’ fatti vostri. Dall’altro, dicono che, essendo esso uomo piú di corte che di studi, non ha fatto mai professione d’altre lettere che di quelle del suo padrone; e se pur è scappato alle volte a far de’ versi, gli ha fatti per diletto, per officio, per obedienza piú tosto che per altro ; e, non ne cercando onore, non ne accadeva che voi fuor di proposito ne lo disonoraste [p. 6 modifica]

e lo straziaste davantagio, proverbiandolo e pungendolo cosi scortesemente come avete fatto: ed alla fine che vi dovea bastare d’averlo ingiuriato, senza volere che si facesse ogni cosa perché sentisse l’ingiuria. E sopra questa partita, con molto stomaco e con molta còlerá di tutti, s’è detto d’alcuni vostri, che gli sono ancora dietro (come si dice) con le canne aguzze, tenendolo stimulato e trafitto continuamente perché vi risponda. Ora dicono che chi cosi vuole, cosi abbia. E per questo sdegno spezialmente, e per le ragioni e per le cagioni dette di sopra ed, oltre queste, per rintuzzare (come essi dicono) la immodestia e la calunnia vostra, perché non abusiate piú la pazienza né del Caro, né d’altri, perché (se possibile sará mai) o voi conosciate l’error vostro o gli ciechi (cosi chiamando quelli che vi credono) aprano una volta gli occhi per conoscer voi; ed in ogni caso, perché non corriate cosi alla scapestrata sopra le fatiche e sopra la fama degli altri, e perché si risolvono che nessuno d’essi si possa assecurar della mordacitá vostra, si sono accordati tutti insieme a volervi mettere un poco di museruola, ed hanno deliberato di far contra voi, come contra publica peste, publico risentimento. Molte altre cose si son dette e pensate da loro in questo proposito; ma queste sono le piú notabili. Ed io l’ho volute riferir tutte si come l’ho raccolte, accioché possiate pensare ancor voi alle risposte ed alle contramine che vi bisognano: avertendovi che avete da fare (come v’ho detto) con Banchi, il quale è uno di quei ciarloni e di quel credito e di quel séguito che potete sapere. Per sua instigazione si son levati sú i suoi seguaci tutti, per mia fé, dall’arcipanche fino agli ultimi scabelli, per darvene una stretta di santa ragione. Ma non è parso lor bene che si faccia o si dica altro contra voi, se non si risponde prima in difension del Caro. Questa parte è stata assegnata solamente al Predella, come al minimo di tutti loro, per mostrare la poca stima che si tiene de’ fatti vostri. Il qual Predella è un cotal Banchetto assistente, e come dir Bidello dell’academia loro che, non se ne partendo mai e mettendosi fra le gambe d’ognuno, si va tuttavia rimescolando, [p. 7 modifica]

per sentire ogni cosa: e l’offizio suo non è altro che dar da sedere a quei scioperati che vi si raunano. Io non so quello che costui si sappia; ma, per avere molto udito, qualche cosa potrebbe avere imparato. E qualunche si sia, bastandogli l’animo d’attraversarvisi innanzi, si è vantato di darvi una buona stincata. E, per ciò fare, ha voluto, la prima cosa, che gli si metta innanzi la canzone sopra la quale è nata la controversia, perché si veggano i lochi di che si parla, con tutte le lor circostanze, ed appresso che si distendano le vostre riprensioni. Di poi, riassumendole di mano in mano ai lochi loro, secondo i vostri medesimi numeri, v’ha fatta la risposta ch’io vi mando inclusa. E tutto questo (come ho detto) per difesa solamente del Caro e della sua canzone. Ma, per castigo e confusione vostra, hanno ordinato agli altri dell’altre cose, per modo ch’io vi veggo una gran piena a dosso: e qui conoscerete se io vi sono amico. Ma toglietevi prima de’ piedi questo inciampo del Predella; ed io vi dirò poi quello ch’arete a fare, per levarveli tutti d’intorno.