Odi ser Poetin, volgiti in qua
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Poeta, su la vostra personcina | ► |
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al poetino
[Giambattista Vitali da Foggia].
Odi ser Poetin, volgiti in qua!
Leggi questa canzon, che viene a te;
e sappimi poi dir come la va.
Quando fra me contemplo chi tu se’,
ti giuro, per la vita del Sofí,
che mi rassembri appunto un Pantalé.
E perché sei piú picciolo d’un I,
questi pochi terzetti ch’io ti fo,
vo’ che ancor essi sien fatti cosí;
e, perché dagli amici anche intes’ho
che a pena intendi l’a, e, i, o, u,
con queste lettre sol ti scriverò.
Or confessa, di grazia, chi sei tu:
uscí di Foggia Vostra Maestá,
o dal paese di Cuccurucú?
A che fai il saccente, se si sa
ch’a fatica imparasti l’a, b, c,
e che mai imparasti il b, a, ba?
Facciamo i conti; dimmi per tua fé:
chi fu che t’insegnò? dove morí?
dove studiasti? e come? e quando? e che?
Chi t’ode a far ognor chicherichí,
non ti dee giá saper com’io ti so
per scatolier del Cieco di Forlí;
il qual seco gran tempo ti menò
sui banchi or per Venezia or per Corfú,
or su l’Arno, or sul Tebro ed or sul Po.
Quindi apprendesti la bella virtú
d’essere forfante, ed alla bubalá
tutto ’l dí cantar versi in su e in giú.
E t’avezzasti errante in qua e in lá,
a scrivacchiar di questo ed or di que’,
ed a dir mal dell’istessa bontá.
Il non scriver giá mai fôra il tuo me’,
perché, quanto composto hai tu sin qui,
ti si può dir da tutto il mondo: — Asé! —
Mi disse un gondolier che non so chi
non so che sonettacci gli recò,
ma, sapendo esser tuoi, se ne forbí.
E acciò che i vizi ti facesser pro,
perché straccio di lingua non vi fu,
gli ti corresse tutti e gli acconciò.
Altro bisogna al can che far «bu-bu»,
e far mostra di denti a chi gli dá,
e poi fuggir, com’il falcon la gru.
Dunque, tu non sei cane in veritá,
ma un di quei cotai che fan «be-be,»
anzi un di quelli a cui si dice: — Sta’! —
Bestia maggior non vidde mai Noè,
Ardena, Arconia, il Polai e il Sinaí,
o quel deserto dove fu Mosè.
Un altro passo ancor soviemmi qui:
che ti diletta, e non mi dir di no,
quel gioco che piaceva ad Occhialí.
Or questo volentier creder ti vuo’,
e voglio in fronte, a guisa di Taú,
la tua bontá scriverti con un O.
Mi meraviglio come ancor le gru
non t’abbian con lor graffi tratto giá
Graffignan, Libicocco e Mazzabú.
Pensi smaltir con il dir mal d’un fra’,
né sai tu stesso dir come o perché,
e sei da men dell’H e men del K.
Puoi ben col barbagian fare un gilé,
ed ormai ti si può gridar fi-fi,
poiché cachi sonetti a due, a tre.
Scrivi stanze e capitoli altresí,
e la corona meriti però,
ed io ti dico che l’avrai bensí.
Ma ben questa novella oggi ti do,
ch’in sul caval, che diventò Appolí,
t’onorerá la scopa il piú che può.
Anzi, per favorirti ancor di piú,
e perché sia maggior la dignitá,
t’andrá il trombetta innanzi col tru-tru.
Io so che in questo poco ti si dá,
poiché allora ti par d’essere un re,
quando qualche sberleffo ti si fa.
Sia scannato chi mai bene ti fe’,
chi ti dona è un castrone, al corpo di...
Or non mel far giurar: credilo a me!
A te par, che tu sia quinci o costí,
d’esser un Aretino e un Niccolò;
ma non fai verso, che vaglia un tarí.
Dio gli perdoni a quello straticò,
ch’in Sicilia t’avea fare il tu-tu,
e che per bizzarria non t’appiccò.
Ma, se ti difendeva Ferraú,
ti converrá morir, se Dio vorrá,
con esso un colpo, e non per man d’Artú.
Se fosse vivo il duca d’Alcalá,
o costui ch’or nel regno è viceré
non stesse tanto su l’umanitá,
ti faria far quel salto di due piè,
che fece il Franco giá, quando salí
per una scala in Ponte, e poi cadé.
Un giorno, in qualche Caramussalí,
con la penna di legno ti vedrò
scriver nell’acqua tra Giorgio ed Alí.
Ti profetizzo ancora, oltre di ciò,
che, per volar al ciel col boia su,
scenderai per un laccio a far cro-cro.
Ma pria, perché non abbi a gracchiar piú,
qualche cervel bizzarro ti fará
su le spalle e sul capo un tipitú.
Questa, sí, che sarebbe caritá!
Opra pia potria dirsi in bona fé,
piú che il monte non è della Pietá.
Se ben, per dir il fatto com’egli è,
ci fu pur un che, dandoti il buon dí,
ti fe’ sotto un baston gridar: — Oimè! —
Oh santa man, che la tua man ferí,
benché era meglio assai darti in sul co’;
ma spero che verrá tosto quel dí.
Pónti di grazia dietro, lingua, un po’;
ch’andar non voglio piú che tanto. Orsú,
prendi questo consiglio, e basta mo!