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versi satirici 391

     Puoi ben col barbagian fare un gilé,
ed ormai ti si può gridar fi-fi,
poiché cachi sonetti a due, a tre.
     Scrivi stanze e capitoli altresí,
e la corona meriti però,
ed io ti dico che l’avrai bensí.
     Ma ben questa novella oggi ti do,
ch’in sul caval, che diventò Appolí,
t’onorerá la scopa il piú che può.
     Anzi, per favorirti ancor di piú,
e perché sia maggior la dignitá,
t’andrá il trombetta innanzi col tru-tru.
     Io so che in questo poco ti si dá,
poiché allora ti par d’essere un re,
quando qualche sberleffo ti si fa.
     Sia scannato chi mai bene ti fe’,
chi ti dona è un castrone, al corpo di...
Or non mel far giurar: credilo a me!
     A te par, che tu sia quinci o costí,
d’esser un Aretino e un Niccolò;
ma non fai verso, che vaglia un tarí.
     Dio gli perdoni a quello straticò,
ch’in Sicilia t’avea fare il tu-tu,
e che per bizzarria non t’appiccò.
     Ma, se ti difendeva Ferraú,
ti converrá morir, se Dio vorrá,
con esso un colpo, e non per man d’Artú.
     Se fosse vivo il duca d’Alcalá,
o costui ch’or nel regno è viceré
non stesse tanto su l’umanitá,
     ti faria far quel salto di due piè,
che fece il Franco giá, quando salí
per una scala in Ponte, e poi cadé.
     Un giorno, in qualche Caramussalí,
con la penna di legno ti vedrò
scriver nell’acqua tra Giorgio ed Alí.