Odi e inni/Inni/A Giorgio navarco ellenico
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A GIORGIO NAVARCO ELLENICO
dell’ancore gravi;
cantò la sirena
su l’agili navi:
5fremeva di plauso il Pireo.
Pareva dal colle Eretteo
nell’etere un’ombra sfumare
(di dea?):
su l’asta le ardea
10la stella polare.
Già lungi dal lido
muggivano l’onde;
sonava quel grido
qual urto di fronde
15nel bosco, ad un ampio alitare.
Tra il cupo tumulto del mare
pareva d’un popolo d’anime,
vano,
quel plauso lontano
20da’ mondi lontani:
Allora si volse il navarco,
si volse a quel morto sussurro:
e vide diritta nell’arco
24del fulgido azzurro,
coi piedi su l’arce fatata,
col capo nell’ombra serena,
l’imagine astata
28di Pallade Athena.
E il Mare gli disse: — Chi sei,
navarco? germoglio di dei?
o, se uomo caduco t’è padre,
32qual nome gli dà la tua madre?
Non forse egli è Neocle? Chè, senti:
dormivo cullato dai venti;
nè so dove guidi le ignote triere
36che sotto le stelle sobbalzano nere.
Stolarco! qual satrapa insidii,
che all’ancora sta co’ suoi Lydii?
qual Ione, sul fil della lama,
40le prore nottivaghe chiama?
qual inno v’udranno cantare
nell’alba le rupi sul mare?
qual inno embaterio, cui l’eco risponda,
44squillando le tibie tra il rullo dell’onda?
Dovunque tu vada, chiunque tu sia,
va dentro la notte, tu sai la tua via,
all’alba, alla morte, alla gloria: sei re!
48Caduta? Servaggio? Fu voce non vera,
fu sogno d’infermi. L’acropoli è intera!
Le navi di Mycale io porto su me! —